THE KING OF DRAGONS di @Luca
Abiusi
Il
potere di evocazione dello sfondo
bidimensionale classe CP System. Che è il rinascimento del videogioco a
scrolling. Che ha inizio nei primi Novanta. Alle medie utenze bisognose di
fantasia viene allora consegnato il paradiso in terra: i
colori, i guerrieri, i castelli, le battaglie e le magie divengono la costante,
così noi lì
a contemplare il monitor in quattro terzi che scrolla orizzontale a pungolare
l’immaginazione. The King of Dragons è immagine di un
percorso
avventuroso ricco di elementi fantastici, e quindi affermazione della Capcom
di quegli anni, la quale si avverte
incontestabile al cospetto dei rudimenti del picchiaduro a scrolling, in questo
universo che
sembra concepito ideograficamente e disegnato per allontanarsi dallo stilema iconografico
del videogioco giapponese. Un mondo, quello del re dei draghi, che trae
beneficio dal suo
essere consumabile e minimo, due tasti e via, neppure uno schermo di mosse a combinazione
che aggravi il brandire di spada.
Capcom vuole avvicinare il ruolismo dei livelli di esperienza, degli
attacchi speciali da lanciare contro ai nemici grossi e squamosi.
Ancora una volta offresi possibilità di gioco in tre
simultaneo, pescando fra cinque eroi leggendari. Vi sarà un guerriero con tanto di
spadone, un chierico bardato di scudo e corazza, un elfo arciere, un mago, l’immancabile
nano. Le analogie con
Golden Axe
si sprecano: a parte le similitudini coi protagonisti, si ritroverà lo gnomo che rilascia i
tesori, le magie, i mostri giganti e parte del bestiario incrociato ai tempi di Ax
Battler. Anche il gameplay sembra non distanziarsi dalla progressione orizzontale
ordinaria, eccetto per la possibilità di potenziare le armi e di acquisirne di nuove.
Rispetto a
Knights of the Round,
rilasciato nello stesso anno, si riscontra una maggiore linearità in sede di
combattimento corpo a corpo per via della effettiva scarsa variazione delle mosse
effettuabili, e il fatto di potere scagliare magie compensa solo in parte tale deficienza.
Per ottenere il barlume di interazione ambìto a inizio gioco sarà opportuno convocare
quantomeno un secondo giocatore, ché il punto di forza di King of Dragons si manifesta
proprio nel misurare le accorrenti fasi di cooperazione e nondimeno nel calibrare il
livello di sfida derivante in sede di ripartizione delle armi e di amministrazione degli
incantesimi. La confusione provocata degli effetti ambientali accresce la profondità
della battaglia, e se è vero che durante lo stadio di apprendimento sembrerà di piegarsi
a intelligenze artificiali assai rigide, sarà poi la furia degli scontri a prevalere sul
coefficiente di battibilità della CPU.
Per quanto privo di intuizioni degne di nota, il
single
player si mantiene interessante a cagione dei cliché innescati da questa Capcom
volpona che ti dice che devi rimanere lì, che
porta il fuoco come mossa di ripulitura delle schermate. Qualcosa c’è. Vi è ad
esempio la possibilità di selezionare un nuovo pupazzo, a fine livello, e altresì vi è
la volontà di inserire un sistema di evoluzione dello stesso, pure in forma semplificata,
per avvicinare l’idea dei Dungeons & Dragons in atto effettivo, ché le
modificazioni ottenute hanno riscontro sulla estetica dell’armamento, dimodoché il
guerriero che all’inizio impugna una spada che è quasi un pugnale, tanto è corta, si
ritrovi con la zweihänder di Conan il Barbaro. Capcom si mette a disegnare, per cui
gli sfondi cominciano ad animarsi in parallasse, i dettagli a definire i
dragoni di Lodoss War, muri di cinta, campi verdi sterminati; gli sprite, che
hanno culmine appresso l’enormità
dei mostri di fine livello, sono illustrazioni in movimento. È possibile che talune
animazioni non si mantengano esattamente sullo standard Capcom, vista la
intermittente fluidità, ma è
una questione di scarso rilievo in virtù dell’affresco fiabesco, dell’arazzo in bitmap
che i disegnatori dipingono a inchiostro. Le musiche risuonano. Decantano il medioevo d’impronta fantasy.
Forniscono il suono di strumenti di altri luoghi e altri tempi ma pur
nonostante tutta questa virtuosità audiovisiva, non si è ancora sulla ricercatezza di un
Knights
of the Round. King of Dragons manca infatti della rimescolanza
manuale necessaria ad ampliare la fase di gestazione oltre il bieco premere del pulsante
di fuoco, puranche col premio delle armi che diventano pesanti, e se davvero
dal videogioco si vorrà
ricavare più della classica singola partita, si dovrà appellarsi al multiplayer.
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