MAGIC SWORD: Heroic Fantasy di @Luca
Abiusi
Contaminando il genere,
allora, i ragazzi di Osaka si costruiscono un loro circolo di ammiratori,
a riferire le stirpi di un videogioco che potesse arrivare a significare
l’interazione essenziale, le immagini stranianti che
frequentassero il
picchiaduro laterale, come tutta una letteratura ruolista da cui drenare gli
elementi del classico platform game,
sempre e comunque centrali per quelle che sono – o che magari erano – le idee
estetiche della Capcom; il proposito di Magic Sword è di accostare la
variazione cromosomica di Golden Axe come ampliamento dell’idea dello
scorrimento, per attingere in modo ancora più marcato alla oggettistica
fantasiosa dei Dungeons
& Dragons. Ci si troverà a dover liberare un blocco di personaggi supplementari
di supporto che affiancherà il combattimento in forma autonoma, una cosa che
in arcade non si vedeva spesso. Sarà comunque possibile cooperare con un essere umano d’avanzo vista la apposita,
e immancabile, modalità multiplayer.
Magic Sword si orienta verso l’action game orizzontale. Si
deve affrontare il caos ma anche recuperare oggetti, magie, chiavi utili
alla liberazione degli eroi, e ve ne sono; Valkyrie, chierici, guerrieri barbari
e stregoni prenderanno ruolo attivo, coadiuvando ora con una magia, ora con l’attacco
diretto, ora con la creazione di una barriera difensiva. La formula funziona, non concede
tregua. Ci sono i forzieri contenenti un po’ tutto, dalla pozione magica al rinforzino
di due olive di numero, che contribuiranno a facilitare gli affari di sortilegio
e spada nei momenti di urgenza. Rileviamo una ottima definizione della
difficoltà generale, che tiene conto tanto del fattore di upgrade del protagonista,
progressivo, efficace, quanto del comportamento dei nemici, mossi da una A.I.
clamorosamente reattiva per strategie e metodi di scontro. La azione sembra preservarsi
dalla monotonia del blastaggio a oltranza per offrire la gradita opportunità di
performare un super attacco ordinato a una apposita barra a caricamento. È tuttavia
consigliabile serbare quest’ultimo per i casi limite, dacché la smania all’uso compulsivo
comporterà un periodo di ricarica discretamente lungo. Il personaggio di supporto è
alternabile, sicché nell’atto della liberazione lo stesso cederà il posto al nuovo giunto.
Magic Sword è un fatto nuovo. E francamente nel 1990 tal doveva realizzarsi l’opera Capcom se si guarda al
limitato rinnovamento contestuale del gioco di azione, in quanto è da Osaka che lo stesso
evolve nell’arte bidimensionale, al di là dei meccanismi, che
tutto sommato rispondono alle pratiche dello slash ’em up, se
pur dove
Magic Sword sinceramente eccelle è nelle atmosfere realizzanti diffuso splendore, in
questa continua ricerca di colorazioni e dettaglio in parallasse, come a dover per forza
glorificare il character design. I protagonisti in pixel vivono, ascendono. I
nemici-mostri sono mostruosi per deambulazione e moto di appartenenza al territorio
dell’irreale, che poi vien reso credibile in seno al dettaglio, l’intarsiatura,
l’animazione. Dunque Capcom, definitivamente a suo agio nel dirigere questo
Eden di
figure mistiche e austere, mette l’incisione del videogioco anni Novanta a base
CP
System I che vuole insegnare il faldone della programmazione al raster al resto del
mondo, ché la scuola del platformismo s’era istituita già nell’Ottantacinque,
assieme ai racconti medievali di Arturo cavaliere. Gran suoni, gran musiche di
battaglia e misteri, per accendere l’immaginazione adolescente. Si può anche cercare l’imperfezione, e presto o tardi
la trovi, come il ripetersi di un’azione che sicuramente pare limitata dai
due tasti di base, ma poi si decide che a prevalere sui metodi di controllo
deve esservi quest’impalcamento carismatico di ventura, e di esperienze che
corrispondono al prototipo del videogioco fantasy.
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