Dopo
essere apparso in sale arcade in modo un po’ fugace e furtivo, Sol Divide viene
tradotto per i trentadue bit di Sony e Sega agli inizi del Novantotto. Si
pensava che il Saturn potesse prevalere in termini di coefficiente di
conversione, e invece, a raffronto, possiamo dire che le due edizioni si
equivalgano e che altresì realizzino una pressoché perfetta riproduzione del
coin-op. Psikyo dispensa inoltre alcune interessanti opzioni aggiuntive per
completare una interazione di per sé virtuosa, e va detto che un po’ da sempre
detta software house si prefigga come obiettivo l’eccellenza (eccedenza) di
questi shooters ricchi di verticalismo e bidimensione. Eppure, con Sol
Divide ci si orienta in orizzontale. Poiché era giusto così.
Arte visuale. Gli eroi fluttuano alteri per le fantasie
Psikyo e si mettono a buttare le sciabolate, a fare le magie di grande coreografia. Di
grande animazione. Pundione disegna luoghi che si era visti di sbieco in qualche
visione notturna, prima di cedere al sonno, al sogno. Il pre-rendering delle creature
alate riclassifica il mito degli angeli caduti in terra a seminar terrore,
che invero qui
l’eroe alato sta dalla parte di chi spara e mira a preservarla, la terra, o meglio la
terra altra, quella dove c’è la cartina che delimita le contee e Tolkien che si
rivolta nella tomba. Sol Divide è un’opera di suggestione visiva, di sequenze che
riportano alla Capcom di fine Ottanta, di devozione alla pseudoletteratura del videogioco
fantasy che preleva nozioni di cavalleria dai testi di storia, dai racconti popolari, dai
romanzi di genere, dal manga patinato à la Takeshi Okazaki (Elementalors,
Kadokawa Shoten, 1990 - 1995) fino a rivendicare, comunque, una struttura di
fondo che sia riferibile alla scuola più alta dello sparatutto giapponese. I suoni
reggono. Scrivono di avventure volanti e cantano liriche crepuscolari, di
montagne in pietra e castelli, di guerre secolari e re maledetti. Il contesto funziona
dannatamente bene, si crea questa sinergia con i protagonisti e senti che
devi esserne parte.
Ma Sol Divide non è mero esempio di shooter a scrolling
sinistra-destra dacché il suo sistema di attacco riesce a combinare gli elementi dello sparatore
moderno con le movenze del classico picchiaduro: i protagonisti, oltre a
detenere l’abilità di lanciare incantesimi, possono allora ammazzare tanto
da vicino che da lunga distanza. Su quest’ultima facoltà non si ha da dire
gran che. Si spara. Più interessante risulta essere tale sistema di combattimento “corpo a
corpo” dove il nemico viene affrontato mediante una serie di
combinazioni semplificate a mezzo di spade,
lance e scettri magici, sicché quindi il gameplay disporrà l’uso della
alternazione come primaria filosofia di offesa. Nonostante tutto Sol Divide non è esente da difetti.
Una cura
maggiore nella realizzazione di alcuni stage avrebbe sicuramente giovato. Si assiste
occasionalmente a passaggi di quadro piuttosto bruschi, che mettono in evidenza una certa
discontinuità sul disegno grafico: concluso un livello, non è detto che il successivo
disporrà della medesima arte. E ancora, la lunghezza del singolo schermo lascia a volte
perplessi, e sembra quasi che gli artisti Psikyo, arrivati a metà della programmazione,
abbiano deciso
di porvi fine a seguito di un improvviso sforamento sul budget. Ma non saranno tali elementi a
decidere il destino di Sol Divide, giacché le sue virtù surclassano di netto le pur
latenti mancanze di struttura; in un certo senso, Psikyo riesce a rinverdire
i meccanismi arcade di
Forgotten Worlds
e dello stesso
Winds of
Thunder della Red, coi quali condivide in parte questa ossatura a scorrimento
non necessariamente a base di astronavi o velivoli terrestri, ma piuttosto votata al mito
del paladino che fluttua e abbatte draghi.