Per
ingannare l’attesa sulla vomitatoia
autunnale in programma il 23 di settembre,
dove tutti assieme appassionatamente si riverserà liquidi e frattaglie verdi
purulente su di una tranche di circa novecento copie
illecitamente acquisite di
Marvel’s Spider-Man, quello della Insomniac, il giochetto che voi ritardati di
merda vi sarete a quest’ora già messi dentro il culetto etto etto, si è deciso
di apporre una graziosa ics su questo plasticame-trofeo del Super Famicom da
sistemare sulla mensola; si parla di un super fossile, e si avrebbe come
l’incombenza di fermarsi sul luogo a repertare, per vedere se l’oggetto
appartiene o meno alla categoria del videogioco cosiddetto “rivalutabile”, anche
se non vi è un cazzo da rivalutare, ché qui da noi nessuno, negli anni Novanta,
aveva trovato il tempo di valutare codesto Majyūō [King of Demons]
interamente allestito di cadaveri che camminano e fiumi di sangue, un giuoco che
non vedrai mai raccolto in collezione deluxe alcuna poiché decisamente troppo
scorretto per gli standard di correttezza politica classe 2018, a meno di non
rinominare il tutto in Marvel’s Spider-Man e scrivere PlayStation 4 in alto a
destra. A matita.
L’innovazione di questo videogioco alla
Castlevania potrebbe consistere nel suo complessivo mancare di innovazione,
diremmo, fermo rimanendo che nel ’95 non poteva esistere un realistico margine
d’invenzione dopo aver visto quel che Treasure aveva portato all’intrattenimento
elettronico in misura di stranietà alla sua stessa idea originale, ma in verità
Majyūō si affranca dallo stadio di clone in provetta quando introduce la
variabile della pistola, con i proiettili che giustamente non risultano a
schermo visibili nel nome di un giochetto che prendeva il nome di Navy Moves,
dove si sparava e ti domandavi da preadolescente dove fossero finiti, i
proiettili, che a pensarci bene non si vedevano nemmeno in Persian Gulf Inferno.
Sta che quando spari si configura quest’azione posturale come se di agente del
Federal Bureau of Investigation che svuota l’intero caricatore della sua Beretta
APX Combat sulle sagome coi carrelli, nella base di addestramento di Quantico a
fare bang bang, che qui all’inferno diventa una gang bang di fluidi corporei
arteriosi che fuoriescono a fontana in continuanza d’impatto per così vedere il
mutante arrancare sul colpo inferto, una cosa che se non provi non puoi capire,
sensazione di onnipotenza manco se “io figlio di Dio voi figli della merda” e vi
è poi da portare avanti la tresca con una fatina verde ignuda che non esita un
istante a sterminare i mostri in Nostra vece. Gioco da sala giochi. Ma più
raffinato poiché ci sono le trasformazioni in draghi e belzebù.
Si agisce per quindi in uno stato di gameplay a
terrazzamenti. La trasformazione, non reversibile allorché acquisita al
terminare del livello, conduce una parziale diversibilità di accosto nel momento
del balzo o dell’attacco, e si dovrà per cui adattarsi al giuoco sulla base
delle occorrenti modifiche del level design, e di certo il giuoco deterrà
la notevole caratteristica di reinventarsi in corso d’opera incoraggiando il
ripiego su meccaniche bitasto altrimenti stantie; le intelligenze silicee
opzionano chiavi di alternanza tra episodi di scaricamento balistico estremo e
considerevoli apici di cattiveria, guardandosi però dallo sbilanciarsi verso
l’una o l’altra direzione davanti all’uso delle tecniche di evasione – è
possibile rotolare velocemente in atto di schivata laterale – e attacco
potenziato – il colpo a caricamento – per incidere sulla curva d’interesse nel
medio-lungo periodo. E così questo King of Demons vuol essere un’operazione di
scrittura parallela rifornita di contaminazioni fantasy osservanti il
truculento, ma pure all’interno di un contesto classicista in cui sia
postulabile il reinnesto delle riconoscibilissime sequenze culto di Konami (il
ponte che si sgretola di
Akumajou Dracula)
e Capcom (le colonne infuocate dello schermo della lava in Daimakaimura) Majyūō
si ricava uno spazio di manovra dentro il quale si assume di potersi scovare il
quadro che ti fa dire di essere difronte a qualcosa che ti fa lacrimare gli
occhi, per via di queste grafiche di sfumatura cromatica estesa e del
character design capace di infondere un taglio di eleganza privo di
stereotipazione manga e persino il suono, che realisticamente conduce ai
prefabbricati sinfonici del microchip SPC-700, parla di situazioni e acuti che
arrivano a completare le facoltà tecniche del videogioco, e a cristallizzarne le
icone.