Il
film reca funzione, nonostante tutto. Eietta fluido rosso durante il frame impiegato nel settore degli
anime dove incrociano le persone sulla falsariga di Rintaro, il cui
seme
non poteva essere del tutto contento di rincorrere il favore di spettatori
rispondenti a un dato livello di specializzazione, in merito ai mangaka facoltosi
sulla falsariga di Clamp, destinate a produrre un dato qual numero di tankobon
da cui fare scaturire lungometraggi e serie TV in fibre di seta. Intriso di
apocalisse, nel 1996 X è magniloquente animazione di un manga distante ancora
dal suo naturale esaurimento, che è situazione nella quale il regista-prototipo
non vorrebbe trovarsi mai, venendogli a defungere i punti di riferimento scritti
verso cui appellarsi qualora gli animatori avessero iniziato a dirgli che gli
mancava il sodio, e che desideravano aver fine; Rintaro, del resto, era uno che la soluzione te la tirava fuori in condizioni di stress creativo, e non vediamo chi altri meglio di lui
avrebbe potuto raddrizzare le sorti di quest’animazione problematica, col suo
script incompleto (e incompiuto) e una schiera di personaggi – mediamente
complessi – di cui tracciare l’identikit nell’arco di novanta minuti.
Non dimorava, la sfida “X the Movie”, nel
radunare gli eserciti consumatori del manga onde a risarcirli di una estensione
di quanto già avevano assorbito, eventualità che Rintaro si era preclusa ben
prima che iniziassero le riprese, ma risiedeva essa, tutt’al più, nell’istruire un metro dispositivo/espositivo da
comminargli a fronte dell’evoluzione del pathos – men che mai dei protagonisti,
che avrebbero dovuto emanciparsi del lato caratteriale e proclamarsi alfieri di
livida esteriorità – e delle azioni commesse da Kamui, chiamato a reggere l’ago
della bilancia del destino – suo come dell’intero genere umano – consapevole che
la “scelta” sarebbe incorsa greve tanto a giostare per i Draghi della Terra
quanto a eleggere quelli del Cielo a dispensatori di giustizia: sterminio o
cieca conservazione del vizio, distruzione o palliativo contenimento di milioni
di anime destinate, in ogni caso, a cadere. Lo si era visto nel manga. Eppure, è
su quel che “non si vede” che Rintaro muove il suo vessillo autoriale, saturando
la macchina da presa di stazioni decadenti e sanguinamenti, voluttuarie visioni
di spade che fuoriescono dalle viscere di una serie di figure che sembrano
dispiegare, terrificanti, alla volta dell'ignoto;
l’innocenza, crocefissa, pure dismembrata e ingannevole mai vede compromettersi il
codice visagistico che il regista infonde a questa profetica riconfigurazione del
sogno, necessaria a edùcere gli eventi prossimali, sedimenti di una realtà
sporgente all’eclissi.
L’immanentismo del film, trafficando il
restringersi dello scrittografico, accredita la filosofia portante del film
medesimo. Che la intera ricostruttura animata, oseremmo dire manieristica, della Tokyo
millenaria ferma sugli artefatti barocco-rinascimentali e tratta in auge
dalle Clamp deve stare in coincidenza del character design e l’incurvatura di
meandri architettonici incastrabili al suono, assumendone il cripticismo
distorto che Yasuaki Shimizu si impone per rimanere in asse con dette
prevaricazioni visive di soffocamento, una condizione di elettroencefalogramma
piatto sin tanto che si è avvinti tra le affusolate estremità femminili
che trascinano nel supplizio della sub-coscienza fantascientifica di qualcosa
che ripristina le visuali di Ghost in the Shell, quand’anche appena in un
passante memento di singolarità interconnettiva. Autocelebrandosi lo stile, X
abbraccia quel tipo di anime di stretta contemplazione da cui è lecito
attendersi nulla di altro da un fiume di simboli che traversino quanto leghe
appuntite, ivi compresi i volti di Nobuteru Yûki, ricalchi stirati e affilati
che in Giappone avranno avuto modo di riconvertire in action figure a
bassa numerazione, ricavandone in yen. Le successive animazioni televisive
commissionate a Kawajiri avrebbero realizzato contenuti più discernibili e
strutturati, grazie all’evoluzione che il manga aveva nel frattempo conseguito,
posto che la presente opera surreale diretta da Rintaro si meriti invero di esser
vista, se mai accadesse di dovere riferire a ignoti sull’abilità dei Maestri,
quelli che bazzicano i dintorni di Madhouse.