METROPOLIS
di @Luca Abiusi

Si è veduti collettori che arroccavano sulla convinzione che l’anime sarebbe un luogo dal quale non è concepibile fuoriuscire, e si è poi uditi i medesimi di cui sopra seguitare sulle deliranti teorie che vedrebbero la razza giapponese discendere dagli dei e in diritto di rivendicare superiorità di sangue difronte al bastardo gaijin. Solo che Rintaro e Ôtomo Katsuhiro, che a ben motivo esibirebbero linee di discendenza diretta col Divino Izanagi, devono pensarla in modo radicalmente diverso acclarati i fatti del 2001, lì quando li si è visti dare asilo a Metropolis e ricuperare l’animazione di Harman e Ising, che negli anni ’30 avevano ideato cortometraggi in Technicolor per insidiare Walt Disney e inquietare donne, vecchi e bambini, ché diciamocelo, quei disegni trasmettevano un nonsoché di spaventevole ogni qual volta ti capitasse di guardarne uno, su Rai Uno, a motivo di un lineamento che ti precipitava nel grottesco; eppure, la fluidità della cel animation di Happy Harmonies doveva essere il punto da cui partire alla retribuzione dell’opera di Tezuka, per troppo tempo rimasta orfana di alcun riferimento cinematografico.

Addossandosi il rischio della licenza visiva, e di certo in accordo col character design di Yasuhiro Nakura e gli addetti alle grafiche renderizzate, Rintaro si spinge a toccare una sua ultima visione della “città-Stato” e delle sue gerarchie, qualora a confronto coi volumi sorgenti e da un lato figurativo, e semmai sui temi generali da tribuire alle righe scritte, prima di cedere arbitrio a un Ôtomo qui operante in veste di sceneggiatore, che anche porta avanti, su di un canale parallelo, tanto di script e regia per Steamboy; il dilemma sulla cognizione dell’identità umanoide e del suo ridursi a ferraglia di scarto viene in Metropolis affrontato seguendo il criterio delle leggi di Asimov in una biblica Ziggurat dal cui apogeo dominare il mondo. E diventa, questa imponente arma di distruzione, vettore di stravolgimenti di casta che non si è in grado di presentire pure nel dubbio legittimo secondo cui, il robot, potrebbe in effetti non bisognare dei servigi dell’uomo, allorché l’intelligenza artificiale, in coscienza di sé, venisse interconnessa all’estremità del cannone. Ovvero il mezzo attraverso il quale, in linea teorica, si doveva sancire la supremazia dell’«io» biologico sull’«io» sintetico. La figura dell’androide Tima sviluppa in definitiva le teorie sull’inviolabilità dell’anima, che quand’anche derubata del “guscio” – il regista elabora e fa sue le idee trascendenti di Mamoru Oshii – dietro impianto extracorporeo continua a declarare la sua essenza.

Il film ricorre all’uso di una incalcolabile quantità di materiale concettuale a fronte della esigenza di sovraesporre il luogo proteso in altezza, e se ne osserveranno le scalature dallo scuro allo schiarire, sul riverbero di luce che obliquamente filtra in profondità dall’apertura degli impalcamenti; in diverse occasioni, e in principal modo nelle manovre di anti-zoom che dischiudono il campo lungo, si opzionano integrative tecniche di precalcolo in CG in vernice fresca, da invocazione del regista, che in seguito dirà che «Metropolis, film quasi unicamente costruito da fotogrammi disegnati a mano, fa uso del calcolo tridimensionale lì dove l’animazione classica non avrebbe modo di arrivare». Ed è vero, ma solo in parte. Non si è in grado di produrre cartacei che sconfessino quanto da Rintaro dichiarato eppure un certo abuso della computeristica si ritroverebbe nell’inquadratura che realizza il finale, dove l’aeroplano abbandona la Ziggurat mediante una virata non tanto impossibile da riscrivere su rodovetro, ma si parla di dettagli. Il limite (minore, ma avvistabile) a cui il film si presta sui tre quarti di proiezione attiene la medesima verbosità che nell’85 aveva oltremisura esteso il minutaggio de La spada dei Kamui; il regista, colto da giustificabili sensi di colpa circa il lavoro, inquantificabile, svolto da intercalatori senza più una vita, e per non costringere al macero un quarto d’ora di girato almeno conclude di dover preservare intermezzi che di norma avrebbero dovuto rimanere fuori. Ma lo straordinario impatto visuale resta. Come restano, intatti, i concetti della grande letteratura di fantascienza portati nel dopoguerra da Osamu Tezuka. Il quale, ne siamo abbastanza convinti, avrebbe finito per amare visceralmente il film di Rintaro.












  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Metropolis - メトロポリス -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 2001 / Cinema
  Produttore Madhouse
  Regia Rintaro
  Fotografia Yukihiro Masumoto, Masashi Nagao, Atsuro Saito
  Soggetto Osamu Tezuka, Katsuhiro Ôtomo
  Character design Yasuhiro Nakura
  Mechanical design Yasuhiro Nakura
  Dir. animazione Shigeo Akahori, Shigeru Fujita, Toshio Hirata
  Compositore Toshiyuki Honda
  Sito produttore www.madhouse.co.jp
  Formato Blu-ray Disc / DVD-Video
  Edizione UK [Eureka Entertainment]
  Anno edizione 2017
  Numero supporti 2
  Lingue JP / EN
  Sottotitoli EN
  Rapporto 1.85:1
  Compatibilità Region B / Region 2
  Durata 110 min
  Episodi //
  Reperibilità Buona
  Prezzo 12 € circa
  OST Sì [METROPOLIS Original Soundtrack, 2001, Starchild Records]

 

Il film, completato in cinque anni, viene a costare un miliardo e mezzo di yen. I disegni utilizzati ammonteranno a più di 150.000. Come nell’originale manga, ricorrono nel film relazioni con l’opera omonima di Fritz Lang. L’unica localizzazione italiana risale al 2002, tuttora presente nel catalogo della Columbia Tristar Home Entertainment in formato DVD. Ciò nondimeno, per lo sviluppo della recensione si è preso a riferimento il restauro in Blu-ray prodotto nel 2017 da Eureka Entertainment per il Regno Unito, grazie a cui si restituisce giustizia alla colorimetria dell’originale pellicola. La colonna sonora del film consiste in un progressive jazz realizzato da Toshiyuki Honda. Si udirà inoltre, di sottofondo alla distruzione della Ziggurat, “I can’t stop loving you” di Ray Charles.