Nel
gennaio del 2011 ebbe a consumarsi il Grand
Finale di “5pb. Vs. The World”, saga che per mesi
accese fior di forum per soli piloti di jet spaziali Type-A
specializzati, quelli che avevano incensato la
conversione PlayStation 2 di Daioujou – neppure Black Label – e che avevano
quindi preso a contestare pesantemente la società giapponese, rea a loro avviso di avere
trascurato la fase di conversione tre e sessanta dello sparammazza arcade più oscuro
della Cave; si dice che del Dodonpachi Daioujou Black Label siano state
prodotte pcb in numero non superiore alle cento unità, per cui possiamo anche capire
l’incazzatura del fandom, giunto in zona loop per vedersi mortificare la
scalata al punteggio con un freeze che sa tanto di randellata tra i
coglioni. Ma nel gennaio del 2011
Mihara
disse sì. Scrisse – invero ultimò – la patch 1.8. E consegnò al Daioujou del tre e sessanta la
dimensione che un titolo di tale importanza avrebbe rivendicato dall’inizio,
ché se 5pb. avesse fatto quel che doveva il Daioujou Black Label non sarebbe
finito fuori produzione, e non vi sarebbero adesso su Ebay scandalose aste da più di cento
euri cada il pezzo.
Bisogna conservare colmo il misuratore delle
chain. Bicchiere mezzo vuoto non va bene: si deve esser positivi e piazzare il ferro
volante dove si deve e come si deve con l’idea di scatenare l’effetto domino dello scoring
system – di agevole manipolazione rispetto a un titolo come
Ketsui – pure se
si è estranei alla patologia del manic shooter, poiché la interiorizzazione
delle manovre decide anche sulla durevolezza del coitum tra fascio-dardo e
interstizio-macchina, affinché venga generato un hyper bonus in lattice
Durex
che porti alla traforazione pneumatica di sacche aliene ovulanti mostri-robot
termodirezionali. Coppia d’astronavi e tre bambole minorenni, come è d’uso tra i popoli
giapponesi: in sostanza le difformità col Daioujou classico si apprestano marginali e
di fatto il sistema di gioco è immutato. E ci sta poi che 5pb. decida di elaborare
il codice della versione PlayStation 2, che era abbastanza uguale al
coin-op, ma non ci sta che dopo si ometta l’ottimizzazione, di stringare le
stringhe e verificare. Così per circa due anni ci si è dovuti sorbire una
traduzione(incidentalmente) discreta del
Dodonpachi (evidentemente) più corpulento e definitivo, e se non era per Mihara hai
voglia a sperare in aggiustazione di velocità, alleggerimento di caricamento,
sistemazione del claudicamento del replay del livello 2-2; quisquilie per chi si
diletta, un nuovo inizio per chi vive di Cave.
Black Label Extra è un cult game
postumo: la data di immissione si sposta dal 19 febbraio 2009 al 20 gennaio 2011 come a
fare finta che nulla sia accaduto, nell’intermezzo, in modo da risparmiare al neo volatore
di Type-B (più lenta della Type-A, ma più potente) il tributo delle
sei ore che si era reso allo sbloccaggio dell’«X MODE», adesso già nel menu di avvio a
largire una doll ulteriore e un metodo di sparo ad hyper perpetua, una
specie di training mode che semplifichi il volamento e che riveli il pattern da
eseguire in modalità arcade versione 1.8 – tale è la denominazione a patch
acquisita – per sancire l’ultima fase di stadiazione dello spara e fuggi danmaku
a bassa tecnologia, seppure al passaggio su console HD venga meno l’effetto raster
dell’arcade a vantaggio di un gradiente di addolcimento del bordo in pixel pur buono a
disegnare grafiche verticali in low res piene di carri armati (carni armate) in
formazione-astronave a super sprite hardware d’ottima cattiveria in 16x16,
cannoni di
Navarone esercitanti un super Risiko di pedine isometriche e cingolame lunare.
Manabu Namiki vive. S’incunea in questa fantascienza iperbolica tutta fasci di
fuoco e svastiche con un parco suoni mica disprezzabile; risulta chiaro come il
compositore miri a trascrivere l’estetica industriale dei blocchi in metallo pesante
deviando, metafisico, nel sinfonico novantesco e lesto superando il cliché
dello schitarrare minoritario lineare di certi ruolismi giapponesi riprodotti
in serie. Codesto Dodonpachi è un Dodonpachi strettamente necessario.
Sussiste come sappiamo una scienza cyberpunk dietro a Cave che vede
questo nucleo di lolite sintetiche attaccarsi alle astronavi a restituirne scomparti
di coscienza: possiamo affermare che Black Label ne sia il manifesto
migliore.