Intercorre
la routine del rank system inizialmente in
vigore nel Novecento per la trilogia del bat su invenzione di
Yagawa,
col di lui giovane ego che mette il codice della ancor giovane Raizing. Che
si ergeva dalle ceneri di Toaplan. Viene dato alla luce
Batsugun; lo sparo che vuole distanziare la meccanica del pattern
sullo sviluppo del calcolo dinamico-prestazionale inizia a meritarsi il
consenso delle schiatte più snob nel senso dell’auscultazione arcade, nei
quartieri della Tokyo borghese che trova normale l’indursi in narice
polveri-pcb di Dogyuun e Truxton 2 ma così per abulia, e si
può immaginare la di loro reazione all’inatteso spostarsi degli schieramenti
di sprites già allo stage due punto uno:
«しかし、これは不可能です。私を助けてママ、私は怖い。クルーエルBeckiiめでたしめでたし».
Li si può capire. Ché in precedenza si registravano sequenze che diciamo
anche non servirebbe annotarsi, quelle dove il mostro alieno di R-Type
esplode e non si deve che rimanere a contemplare. Invece loro trovano come
trainar punti anche lì; la posizione di Yagawa rispetto alla filosofia dello
sparatutto arcade di costume è radicalmente diversa. La sua narrativa di
decostruzione del prototipo di successore verticalista sul lato più
strumentale prosegue dritta al binario della diversione di schemi per cui
l’esperienza di trasmutamento dal tempo virtuale a tempo reale sia modello
di purificazione dell’io vegliardo anche prima del gameplay di umano
intendimento e di argomenti complementari quali il punteggio o le incipienti
tecniche di assalto al boss ch’erano state fondamento delle teorie
capcomiane. Sul motivo dell’evoluzione dello shoot ’em up
che fu di Raizing, che ebbe nascimento in Toaplan, Muchimuchipork! &
PinkSweets è un raccoglitore necessario. Vi accampano i due recenti
coin-op firmati Yagawa che meglio descrivono il surclassamento del limite di
confine arginante lo spara e fuggi giapponese di marche convenzionali, e
chiaramente si è su pratiche di leziosità che il bifolco elettore al più non
potrebbe capire dopo che nel Novecento gli è capitato di giocare a
Gradius una volta. E comunque, Muchimuchipork! (titolo straordinario, si
riferirà) appartiene al popolo.
Succede di selezionare PinkSweets: Ibara
Sorekara, sequel di
Ibara, e
di morirvi in edizione Arcade. Sul versante “Arrange” lo stesso shooter si
trasforma in una festa di “Rose Cracker” e moltiplicazione a sessantaquattro carati
apparentemente intrisa di
Ikeda, e si ottiene sinfonie di guerra differenti. Va però anzitutto notificata l’eccedenza di forma al gioco
arcade, verticali intransigenze nel gestire l’aumento di affluenza del
proiettile sulla frequenza di sparo, sull’acquisto di power-up, sull’uso del
“Rose Cracker”. Tutto scatena il rank. E, di contro, nulla è utile a
diminuirne l’ingerenza. Si può al massimo auspicare di rallentarne gli effetti
su immissione di suicidi strategici e perentorio approvvigionamento di punti
oltre il milione a recupero di extra vite, eppure il sistema della
compensazione che aveva reso il suo meglio in Battle Garegga, dove si
aveva per riferimento la bomba sicura che sapevi come e quando sganciare, in
PinkSweets rivela un catastrofico errore strutturale in fatto di gamedesign
e ancora incoerenze di scritture in sede di adempimento delle distanze tra schermi. La
seguente compromissione dello scoring system innesca l’atto di
scompenso, allorché la remissione del gesto non fa che deflettere la meccanica del
guadagno; l’attacco al punteggio è creato sterile. Si opzioni l’«Arrange». Vi
si troverà rasters stracolmi di scorie e proiettili cancellabili e
detonazione, e un rivisto metodo di sparo à la Dodonpachi. Le
grafiche, infinite, cantano la Nouvelle Vague del cinema animato
giapponese, quindi il character design (Tomoyuki Kotani, già
accreditato in
Matrimelee e Mushihime-sama) di barocco spinto
elegantissimo elegge sculture color miele, degli angeli bidimensionali al
controllo di macchinari volanti a elica che s’involano in funzione di
sparamento stylish volgente al saturo di placche di ferri, o
technogiardini di viole e rose, o cannoni, cannuoli, ragazze d’alto bordo.
La suoneria pop regge. Ammiccante il suono avanza sul contro-ritmo di una
frizzicola con superiore equipaggiamento di schiume anche davanti a
pepsicola, e traspare eccentrico il trambusto modaiolo gusto fragola.
Muchimuchipork! è generalmente umano.
Interviene un lard meter degno di stima sul quartiere dello sparo
parallelo di quando si spara per cavare il metallo pesante delle monete a
forma di maiale, e difatti lo scoring system estrae essenza dall’overchaining ricavabile sul limite di 10.000 punti di moltiplicazione
al pezzo, vendo oro in cambio di numerazione contante; il “tasto B” è del
misuratore colmo. In azione di rastrellamento, e sicché il metallo venga dal
mezzo tratto in risucchio, si disporrà pressatura di ambidue i tasti primari
a fine di scansare l’interscambio in appoggio d’un manovramento più cordiale
di semplicismo, ché all’esaurimento di stringa si ritorna in formazione
virale di tipo A. Che non è una malattia trasmissibile per via ematica – e
probabilmente anche sì, a pensarci – ma al contrario un doveroso vestibolo
di ammucchio in preparazione della devastazione, che in ogni caso è succo di
frutta e allegria, ma che è pur sempre devastazione per la donzelletta
che vien dalla campagna in sul calar del sole, col suo fascio d’erba; e reca
in mano un mazzolin di rose e viole. Il rank, di nuovo avvertibile, è
adesso evidentemente controllabile sugli “stock” di vite ausiliarie a corredo,
che non devono superare le quattro unità. Se no si muore. Con
Muchimuchipork! Yagawa assesta il suo colpo virtuoso. L’algoritmo
dell’aggravio dei sistemi e dei proiettili potrà esser calmato con
l’occasionale auto-uccisione e a seguito del risarcimento in giga punti e
opportuno scatto di ulteriore vita, e si potrà allo stratagemma intercedervi
in sicurezza ancora su stadi di avanzamento, sul livello cinque, in vicinanza dei
pattern marziali da assumersi in lucidità. Se no si muore. Si vedono gli
alberi ondulare. Allora le grafiche di Giappone grasso amichevole e
contento, un po’ futuro, super elicottero e cose di uguale peso, rendono
l’incantesimo del contesto in cui vi è radianza luminosa e su cui staziona
positivissimo il videogioco del disimpegno, dell’intrattenere per un’ora a
voler farsi anche l’«Arrange», ma un’ora piena di sole e di mare. Daisuke
Matsumoto dice alla tastiera di suonare un funky interessante da serata
estiva del Novecento, nel bar dove vi è un solo cabinet, ma un cabinet di
classe del genere di un The Game Paradise o un Gunbird,
videogiochi con le bambine che volano in verticale. Muchimuchipork! &
PinkSweets è collezione letale. Nascosta dietro a Cave e ancorché
condizionata da talune disfunzioni concettuali, cede al tre e sessanta
l’ultima riconoscibile impronta della Raizing.