Alla
Games Division #2 di 5pb. venne la brillante idea di trafugare il codice della
versione PlayStation 2 di Dodonpachi Daioujou, che doveva poi servire a
velocizzare l’adattamento XBOX 360 preso in carico. Solo che in seguito ne
tirarono fuori quel distributore di bug di
“Black Label Extra” che avrebbe ottenuto il DLC d’aggiustamento con
grande ritardo e unicamente grazie al diretto intervento di Ichirou Mihara, il
quale si era
appunto occupato per Arika del port PlayStation 2. Si avvertiva dunque
pessimismo intorno alla conversione di
Ketsui, il cui nome dice buona
parte del blasone di Cave e di storia del manic shooter, e si vede
tuttavia che le
pressioni – e le possibili azioni legali – che gravavano dai quartieri alti devono avere
indotto 5pb. a conseguire degli standard elevatissimi; Ketsui:
Kizuna Jigoku Tachi Extra è un adattamento eccelso. E sembra che persino il
cultore incominci a preferire quest’ultimo al coin-op: su tre e sessanta lo sparatore
viaggia più velocemente, più fluidamente. 5pb. ha operato azione di ripulitura di quasi
tutti gli errori preesistenti – viene giustamente preservato il glitch della bomba, comunque
disattivabile via menu – pur senza compromettere il gameplay della PCB. Poi ci sta
l’«X-Mode», alternativa a cancellazione che mette carne e allunga di parecchio
l’esperienza bellica.
Bisognava adattare l’immagine in low-res alla
alta definizione. È stato fatto apportando discreti filtri a smussamento, piuttosto
utili, eppure viene a mancare il rendering dello scanline, quello che Gulti ha
usato in Raiden Fighters Aces e che non si capisce perché non venga ancora
introdotto nei porting della Cave. È a ogni modo presente una utilissima funzione di
allargamento dell’immagine per i monitor in 16:10 – è il Nostro caso – per guadagnare
ampiezza e superare in “verticalità” i display delle sale giochi (col
Tate
Mode
allestito, ovviamente). Il comparto opzioni è esaustivo. Accumulato un certo numero di
continue si possono – e attenzione: qui si va sul pesante – attivare l’URA e lo TSUJOU loop,
che per chi si era comprato la scheda senza riuscire a sbloccarli sono come
cristalli di metanfetamina “blue sky”
da tirarsi a colazione mentre fuori piove acido. Quella pioggia che discioglie l’asfalto.
Ci si può salvare le partite. Ci si può scaricare i replay delle partite dagli schermi
delle classifiche mondiali. Si può optare per la colonna sonora remixata, che francamente
è qualcosa tipo elettroshock in una cisterna di xeno. Tutte cose che fanno calare di
prezzo le PCB. Tutta sbobba che fa di questa traslazione postuma la
“versione ideale di Ketsui”, una sorta di director’s cut a cui aggiungere il lardo extra
delle limited col doppio CD e l’involucro in plastiche traslucenti.
Lo scoring system alla base di Ketsui
prevede l’acquisizione di questi box numerati – il cui valore massimo è cinque
– da
moltiplicare sul principio della vicinanza agli obiettivi. Quindi sul margine sinistro
dello schermo si aziona il countdown delle chain per ottenere box del
medesimo valore del primo ottenuto – da qui la necessità di prendersi un 5 – e proseguire
in lock-on fino all’esaurimento del timer. Al cospetto dei guardiani di fine
livello subentra il boss counter, un misuratore dei box acquisiti
nello stage che tende ad azzerarsi e che in un certo senso mette alla prova
la abilità di annientamento del giocatore, visto che il punteggio extra
viene calcolato in base alla velocità di terminazione del boss. Assecondare
l’overflow del punteggio diventa un discorso di ordinaria
amministrazione, nel caso di Ketsui; le formazioni maniacali risultano al
caso superabili
attuando la schematizzazione dei percorsi utili e dei processi di sovraccarico del
moltiplicatore, e più lo schermo si riempie, più si accosterà la abulia delle
intersezioni dei proiettili sparati a esse, a cerchio, a stormo. Lo stato di trance
psicotica avvicina il giocatore all’unico io. L’unico Dio al di sopra del bene e del male.
Ketsui è un po’ questo: una scarica di elettroni a grafica bidimensionale complessa che
identifica l’idea di sparo della Cave e i metodi di sparo del manic shooter più
di qualsiasi altro manic shooter e più di qualsiasi altro tentativo di
ghettizzazione dello shoot ’em up post-classico. Una pietra. Vai avanti, continui a
perdere vite ma non riesci a farne a meno. E continui e continui finché non
realizzi che malgrado tutta l’immisurabile quantità di pallottole esiste uno spazio, tra le linee, che
conduce alla
salvezza.