Si dice che la Terramarque
di Stavros Fasoulas avesse realizzato un middleware di emulazione di scheda
CP System I, e che fosse riuscita a sintetizzarne un simulacro a sprite hardware da far ballare davanti
al marasma dello sfondo,
che di per suo veniva saturato di parallasse. Quindi Stavros decise che
tanto motore bidimensionale doveva essere usato per un videogioco a base di
elfi e mazzate, ma non doveva essere un clone di Street Fighter II, e
neppure un qualcosa di avvicinabile al retaggio del Team17. Terramarque
mirava a determinare un genere a sé stante che autoescludesse la bagarre del
chi ce lo aveva più picchiaduro, e che aprisse casomai al confronto sulla
revisione possibile, la via capace di imporre un tipo di scontro
alternativo. Per questo Elfmania è un esemplare abbastanza unico. E
se poi deluse le aspettative di gran parte degli addetti non fu colpa degli
sviluppatori, ma bensì degli addetti, che avevano frainteso.
Elfmania è differente. Dissente dallo
standard del
picchiaduro capcomiano e allontana qualsiasi esistente idea di beat
’em up a
incontri. Terramarque sceglie la via della contaminazione ruolista apportando al gameplay
la variante delle monete rimbalzanti, che corrispondono alla linfa vitale dei
protagonisti, per fare in modo che queste siano sovraespulse a surrogare il
sangue e come arma di fortuna da reindirizzarsi all’opponente. Il rilevabile
limite di questo genere di approccio riguarda il tempismo e la
velocità di esecuzione: centrare le monete è affatto pratica di routine in virtù di un
sistema di collisioni piuttosto rigido, che rende attivo il contatto al pixel. Ma appurato
ciò, Terramarque non si dimentica delle tecniche di scontro bidimensionale universali e
conferisce al combattente il tipico compartimento di calci e pugni, compresa
la possibilità di eseguire una super mossa a spazzamento – solitamente un calcio rotante – che una volta a
segno sia in grado di sottrarre una considerevole porzione di barra energetica; il team creativo rivisita
allora le cadenze del titolo di genere allungando la
gittata del salto e realizzandone lo spostamento di traiettoria in corso di
esecuzione, a vantaggio di una direzionabilità che vorrebbe compensare il
limitato numero di mosse performabili, ancorché la sensazione vigente è
quella di stare difronte a un coin-op.
Per quanto il carattere non violento del
beat ’em up
rimanga uno specifico diktat di programmazione, alla opera Terramarque va invero
contestato il
limite della non afferrabilità degli avversari. Il fatto del non essere
abili a
scaraventare il nemico per le terre rivela mancanze in approccio ravvicinato,
allorché lo stesso ci sta addosso e l’unico modo per contrastarlo sia di
compulsare il pulsante a
oltranza o di evadere, magari inoltre restituendo una certa strategia difensiva,
eppure è altresì chiaro che la tecnica di scontro venga pesantemente penalizzata
dall’assenza del contatto fisico a proiezione. Il numero degli attori
opzionabili, unicamente sei, sarebbe ulteriore motivo di perplessità, ma a
considerazione dello spessore visuale avvertibile rispetto al character design quanto
in merito agli incredibili sfondi, riterremo
la questione ininfluente all’atto del giudizio. Per cui sì, le grafiche
determinano gigantezza. Attraverso la scientifica applicazione di tutti gli effetti
bidimensionali riconducibili alla letteratura di genere, pavimentazione prospettica
per dentro, Terramarque si redime
beatificando il pixel, elevando i cromatismi a video alla pura gradazione,
trasferendo al
disegno estetico il dettaglio, persino insignificante, che stia a rendere la
visione di insieme definitivamente virtuosa. Quindi il componimento del
suono vuole assecondare tanta smisuratezza
introducendo una techno polistrumentale di
struttura,
a creare una partitura musicale ricca di campionamenti ambientali,
a diffondere
una sinfonia a tripla voce tendenzialmente pop.
Per quanto ci riguarda, Elfmania è un gran gioco. Anche se non necessariamente un
gran picchiaduro.