Non poteva esservi
killer application più pesante di un videogioco del pallone a fine Ottanta,
quando su coin-op si incominciava a veder cose come Tehkan World Cup
e Mexico 86 e si finiva per immaginarsi di cose vagamente simili da
poter manipolare a casa, sul Commodore 64. Ma affinché il calcio potesse
realizzarsi serio anche oltre i confini della sala giochi ci voleva un Amiga
500. E quindi una copia di Kick Off. E non vi è molto da dire in merito a
Dino Dini, alla simulazione, alla rivoluzione. Semplicemente, questi aveva
creato il calcio elettronico realisticamente in grado di realizzare il
destino della piattaforma che l’avesse ospitato: davvero Amiga sarebbe tale qualora deprivo dell’influenza di un titolo come Kick
Off? Avrebbe venduto, sì. Del resto vi era sempre Defender of the Crown. Ma di
certo non avrebbe realizzato manifesto il divario con l’Atari ST (il cui
Kick Off era buono, ma non così buono) e con i sistemi MS-Dos. Poco da fare,
non s’era ancora visto nulla di così spiazzante nemmanco in arcade, lì dove
bisognava premere il bottone e andare a segnare. Qui, invece, vige il segno
del realismo.
Palla al centro: Kick Off
vuole avvicinare la struttura del calcio attraverso il visus, le tecniche
visuali. Lo spazio di interazione assume il dettaglio scrupoloso degli
elementi attivi e degli oggetti al margine attraverso il dimensionamento in
scala del terreno, il quale poi, quando messo a raffronto con l’archetipo
calcistico da bar, appare addirittura smisurato. Gli omini virtuali
usufruiscono di un design riferibile e le animazioni, velocizzate, oltremodo
convincono. Il colpo di testa,
la scivolata, il tiro in porta vengono resi verosimilmente pur nella
assoluta fluidità dello scorrimento: a livello tecnico Kick Off vuole
conquistare la perfezione. Per cui Dino Dini opta per l’effetto overscan e
sempre per distanziare i margini del campo dal centro dell’inquadratura, in
modo da convertire su video l’idea del calcio totale del Milan sacchiano,
nonché della mitizzata Olanda di Cruyff. La questione radar. Un fatto nuovo.
Il programmatore vi opta per segnalare la posizione dei
giocatori rispetto alla palla, ma poi è anche un ornamento che fa eleganza.
La resa del pallone virtuale merita elogi. Vi è questa fisica dinamica del
rimbalzo che vorrebbe istruire la routine, il grado di accelerazione del
tiro in funzione dell’attrito col terreno e della velocità del vento. Il
suono si afferma al di sopra della media. Si ravvisano occasionali
campionamenti da stadio, effetti d’impatto generalmente riusciti; l’assenza di una
traccia introduttiva
non sembra infastidire di fronte all’apporto di programmazione, ancor di più
se si considera che il gioco risiede nelle ristrettezze di un unico disco da
880.
La grafica non è tutto. Kick Off
passa alla storia per aver recato al videogioco la reinvenzione del calcio
nell’atto del possesso palla: il pallone devi guadagnartelo. Te lo vedi
allontanarsi dallo scarpino e fluttuare impazzito, assumere traiettorie
pressoché contrarie al posizionamento del giocatore, e quantomeno all’inizio
è meglio non pensare al dribbling:
bisogna passare, aprire il campo con il lancio. Si può provare la sgroppata sulla fascia
col traversone finale, che è però già complicato poiché devi mutare il senso
di marcia e riuscire al contempo a mantenere la palla entro le linee del
campo. Il
metodo di palleggio è scientifico. Consiste nell’agganciare la sfera
operando la pressione del pulsante e quindi determinando il moto di
rotazione del joystick per direzionare lo scarico, che avviene al rilascio.
La velocità. Ma non la confusione. Il calcio di Dino Dini va consumato
assumendo il principio del tocco in rapidità, della triangolazione e del
tiro in controbalzo, per anticipare il portiere e nondimeno creare
spettacoloso l’avvicinamento al limite dell’area, al termine di una manovra
che sia pura geometria della costruzione, esaltazione della dinamica della
sovrapposizione dei corpi mobili in giunzione con la balistica dell’inerzia.
Kick Off vuole tutto. Vuole simulare il calcio nella zona del controllo
della sfera, distaccando la stessa a voler creare la caccia al possesso, ma
vuole anche rimandarsi alle dinamiche dell’istantaneità allorquando, dopo un
cross, vi sia da avventarsi a carroarmato per superare la linea di porta
palla al piede. Simulazione dal principio propulsivo arcade, si direbbe, ma
con l’aggravio di una intelligenza silicea già evoluta. Ed è un traguardo di
importanza centrale per un titolo di fine anni Ottanta, dove era già tanto
se il videogioco del calcio si disegnasse le reti e le porte.