Dualismi.
Contrapposizioni. Roma e Lazio. Muccino e Özpetek .Duran Duran e Spandau Ballet.
Oppure Cinemaware e Psygnosis. All’inizio della favola chiamata Amiga queste due
allora neonate software house si scambiavano di mese in mese lo scettro di più
valida creatrice di capolavori per il gioiello Commodore a suon di titoli che
sono rimasti nella storia dei videogiochi e nel cuore (e nelle dita dolenti)
di ogni giocatore. Ogni storia ha un inizio e quella di Psygnosis su Amiga si
chiamava Barbarian, titolo
discreto, buona grafica e strano sistema di controllo: il mouse era utilizzato per muovere
il personaggio attraverso una lunga serie di schermate fisse e per fargli compiere ogni
azione tramite un’interfaccia scomoda all’inizio ma incredibilmente
user friendly dopo
poche partite. Discreto successo. Ma il bello doveva ancora arrivare. Dopo pochi mesi la
stessa interfaccia viene utilizzata in un nuovo gioco con una ambientazione
fantascientifica. Il suo nome è Obliterator. E la leggenda ha inizio.
La storia di Obliterator racconta di un marine spaziale
mandato a liberare una nave alla deriva dalla scomoda presenza di alieni bricconcelli come
da tradizione (ma si sono mai ribaltate le parti?). Il prode eroe non solo deve fare
piazza pulita di tutto il parentado di alien ma deve uscire vivo ed in tempo dalla
struttura prima che un diabolico countdown finale (e l’aggettivo è
perfetto
a fra qualche decina di caratteri per la spiegazione) distrugga astronave ed
eroe. Obliterator inizia con una musica indimenticabile, una delle tante creazioni del
genio dell’epoca, David Whittaker (tra l’altro la colonna sonora del
gioco è una delle più scaricate dai siti che offrono la possibilità di downloadare
musiche amighiste), e l’eroe di turno che, dopo aver regalato un sorriso ironico al
giocatore che osserva lo schermo del televisore con lo sguardo attonito e la mano
contratta nel joystick Konix, tira allo stesso una bazookata che mette subito in chiaro
chi sarà il vero protagonista del gioco. Obliterator era un gioco bastardo dentro.
L’interfaccia permetteva una serie infinita di combinazioni, tra movimenti e spari, e
alcune trovate implementate come la capriola e l’appiattimento contro il muro per evitare
i colpi nemici introducevano una sostanziale novità nei giochi di azione ragionata.
Alcuni momenti, come la discesa in jetpack all’interno di
uno stretto cunicolo, erano di una difficoltà mai provata prima e costringevano il
giocatore a un grado di pazienza pari a quello di un monaco zen al più alto
stadio di
imperturbabilità. Ma nulla era paragonabile alla trovata finale dei programmatori: far
partire il countdown finale dal punteggio raggiunto dal giocatore fino a quel
momento. Chi tramite recensioni (epica una apparsa su Zzap! ai tempi) era stato avvertito
riusciva a compensare la bastardaggine della trovata, ripetendo alcuni schermi e
aggiungendo impreviste carneficine porta-punti. Gli altri generalmente rifacevano il gioco
daccapo visto che il tragitto per uscire era lunghissimo. E spesso si schiattava prima di
raggiungere l’uscita. Cool come pochi altri titoli dell’epoca, con una grafica
stupenda ed un sonoro da frattura del miocardio, Obliterator diede il là ad una serie di
titoli storici che resero giusta fama e fortuna ad una delle più illuminate etichette del
tempo. Nella memoria del giocatore resteranno per sempre impresse le stupende schermate
statiche in stile gigeriano nella fase di caricamento, la desolante visione del nostro
corpo fluttuante nello spazio dopo un fallimento (omaggio al capolavoro Kubrickiano,
2001
Odissea nello spazio) e ogni singolo istante, durante il countdown,
che ci separa dal portello della navetta di salvataggio. A distanza di tanti
anni la civetta della Psygnosis ci guarda ancora, e ancora cupi e forti
risuonano i passi metallici nell’astronave…