Molti secoli fa, in un tempo di cui si è persa
memoria, vi era un luogo popolato dalle creature della terra. Era il regno
magico delle Sette Isole, forgiato da grandi stregoni e governato da potenti
re. Fu il fratello del re sovrano a rubare gli antichi scritti magici, e in
seguito a usurpare il trono scacciando il nipote erede, e uccidendo il re stesso, sangue del suo sangue, per una era
di oscurità e decadenza. Narrano gli scritti che il giovane
Malius,
legittimo successore al trono, venne tratto in salvo dal mago della antica foresta,
che lo iniziò alla stregoneria istruendolo sui sortilegi e gli incantesimi della terra.
Gli anni passarono come se fossero giorni quando infine lo stregone, in punto di morte, rivelò al giovane
il segreto delle pergamene
della antica foresta e degli amuleti del potere, indicandogli il luogo in
cui erano occultati. «Ma fa attenzione» ammonì il mago,
«i
poteri racchiusi nelle pietre vanno al di là della conoscenza umana e possono irretire
colui che le possiede». Allora Malius, ormai deciso
a riprendersi il trono, si mise a cercare. Ed è qui che inizia l’avventura
narrata in Odyssey...
Va detto che Audiogenic operò con un certo
stile. E non per una campagna pubblicitaria che di fatto non c’era, e
nemmanco per l’inscatolamento o la manualistica (quest’ultima portante due
fogli striminziti), ma per via di una visione peculiare, una scrittura
ludica che sicuro si proponeva di influenzare i videogiochi a venire. Ora,
indubbiamente Odyssey trae ispirazione dal classicismo bidimensionale di
inizio anni Novanta, il medesimo che appartenne a Leander, Lionheart
e Deliverance, ma anela al contempo a integrarvi una struttura adventure
multistrato che riguardi tanto il fattore ricerca, che resta funzionale alla
consumazione, quanto il necessario episodio di sedizione, l’atto scatenante
il gameplay che dica metamorfosi, che chieda di acquisire l’abilità speciale, come
quando ci si dovrà librarsi in volo sotto forma di uccello, oppure in luogo
di trasmutazione aracnoide, per rendere l’accesso ai cunicoli. Esatto, la meccanica di Odyssey
verrà ripresa da Konami per il suo
Dracula X: Nocturne in the Moonlight,
e benché poi si opererà di filtraggio secondo le esigenze del blasone di Castlevania
la storia della muta e dell’indagine in loco corrisponde. Per cui, se
si considera che il suddetto è tutt’ora annoverabile tra le opere portanti
di PlayStation, non si può che restituire a Odyssey il prestigio che per
ragioni di mercato gli fu
precluso – nel 1995 il parco software Amiga è di trascurabile influenza per
la stampa internazionale già sedotta dalle console a 32 bit – anche in
accordo a una sua limitata distribuzione sul territorio europeo (sembra
infatti che il gioco fosse reperibile unicamente nel Regno Unito).
Riferibile da subito una estetica assai
funzionante. Il blocco degli elementi scenici principali (e non) assume, in Odyssey, un ruolo di minuzioso
ornamento, e vuole completare un disegno essenziale, che si voti alla
definizione delle immagini. Audiogenic è
riuscita a creare un ambiente esteso e allo stesso tempo credibile, ricolmo
di creature di mirabile animazione, e si dovrà presto avvistare gli
esseri
in pietra mutare di forma, o anche i folletti verdi e i cavalieri nani
deambulare in full frame, a realizzare l’esperienza di scandaglio
orizzontale e di rivelazione, dove si potrà augurarsi di affrontare il
bardo, o il gigante guardiano. Andrebbe quindi presa a modello la anatomia
del protagonista giostrante, mentre agita la spada e la sua folta chioma si
libera al vento. Gli sfondi. Ah, possenti, ricchezza di strutture. Il colore
è vivo, l’accostarsi è pittorico, gli esterni sono Medioevo e fiaba, eroe
che attraversa il tracciato di ventura.
L’ossatura. È la struttura, di fatto, che determina efficace la narrativa
di Odyssey,
arte del videogioco dell’intuizione, della sfida che ascende. Messa in cassa
la fase esplorativa, immediatamente dopo avere acquisito la prima metamorfosi (eccellente
l’animazione in morphing), si otterrà l’infrastruttura a labirinto, si
diverrà testimoni dell’incanto della caccia al tesoro insidiosa, che cela il
meccanismo della trappola; diverrà per Noi prioritaria l’ispezione del
territorio, a evitare l’imboscata, il falso bivio. Un grande gioco. Grande
al punto che l’assenza di una colonna sonora ingame diventa un fatto
secondario, e anzi motivo di esaltazione degli effetti e delle campionature,
le quali vogliono diffondere il realismo (l’irrealismo), la eco di un mondo
sconfinato. E meraviglioso.