LEANDER
di @Luca Abiusi

Leanderbox2.jpg (17251 bytes)Nel corso dei primi anni Novanta l’Amiga vive il suo momento di apice malgrado lo spettro della pirateria dilagante e la sempre maggiore influenza del mercato delle console. Il computer di Commodore viene difatti trainato da un blocco di titoli-bomba capace, almeno in Europa, di competere con gli ultimi platform di Sega e Nintendo. Le software house investivano. Lo si comprende manipolando l’elegantissima confezione “book” di questo Leander, rifinita, pesante a valorizzare un’opera che in sé manifesta grande attenzione per il dettaglio, come l’impeccabile animazione del protagonista e lo scrolling multidirezionale in parallasse. L’orchestrazione sonora consta in brani di elevata qualità tecnica – gli strumenti a fiato del primo livello ce li ricordiamo ancora – e anche qui i realizzatori dimostrano di poter fare meglio dei formati cartuccia se non altro perché, tempo dopo, se ne sarebbero usciti con un port Mega Drive dai suoni un po’ distorti.  

Del parco opzioni è interessante la possibilità di utilizzare il secondo pulsante del joystick (per chi ne possedesse di compatibili); tramite l’inserimento di determinate password si potrà inoltre incominciare dal livello che si è precedentemente affrontato. Storicamente, Leander sembra coincidere il medioevo giapponese. Esseri soprannaturali, mostri non proprio amichevoli creeranno l’insidia, il tramezzo tra Noi e la conquista alla chiave di accesso al quadro succedente. Sussiste il negozio. Per cui si potrà attingere a un largo ventaglio di super spade, di quelle pesanti che spazzano il nemico a distanza; viene altressì messa a disposizione larga variazione di armature, che poi servono ad aumentare i punti vitali ma che anche consentono di sferrare l’incantesimo del pulsante a caricamento: il misuratore messo alla base ne realizza il grado di potenza. Quindi il display s’illumina di nitidezza e di colore. E anche d’immenso, massì. Gronda, lo schermo. E tuttavia è il disegno artistico delle creature, quelle giganti che occupano cento, duecento pixel, a istituire l’apice creativo dell’opera, per quanto poi sia l’arazzo del bidimensionale che si estende in multidirezione a fare della bestia l’essere centrale del visus: si vedrà il drago alato, l’arpia che sbrana, i pipistrelli, le statue, quadrupedi come insetto a otto zampe e quel che adunque lo stereotipo del fantastico è abile a riferire muoversi per schermo manco se questi non stiano lì, adesso, ad avanzare il diritto di essere la realtà cui le adolescenze classe ’77 da tempo erano in ricerca.

Superfluo dire che il movimento a 50Hz di protagonista e bestiario siano ancorati e che lo scorrimento scriva la fluidità dei meglio coin-op se è poi questa manovalanza d’alto dipartimento a creare Leander quale oggetto di gran manovrazione avventurosa d’impalcatura arcade capace di rinverdire, addirittura, la manodopera di Reflections; la misurazione dei tempi di gioco vorrebbe perentoria ritornare all’infrastruttura degli ultimi Wonder Boy. Sicché, a intingere il cliché del genere a scandaglio rintracciabile su console, e dunque mischiando esplorazione e azione, Traveller’s Tales introduce in Leander un sottotesto di negromanzia cui ci si abbandona nonostante il più che persistente grado di ostilità. Leander va assorbito nel tempo. Attraverso l’assunzione delle intelligibili variabili del level design, le quali incoraggiano il ripercorrimento allorché si resti bloccati in un imprecisato luogo e ci si smarrisca all’esplorazione dello stesso, il videogioco descrive il fascino dell’interagibile crescente, la variazione tattica da sfoderarsi al cospetto del singolo nemico. L’azione è frastagliata. La linearità, pur avvistabile nell’atto del salto sul bordo, è invero pensata come viatico necessario ad alimentare il senso della disfida da sala giochi, per affermare un tipo di platformismo che sia equidistante tanto dall’action game quanto dall’arcade adventure. Nel 1991 Leander annette qualcosa di importante al classicismo del platform game di consumo, che quantomeno nell’area dei personal computer era rimasto fedele alle due azioni irreversibili mutuate dai coin-op: saltare e sparare. Traveller’s Tales, in un certo senso, evolve i meccanismi del genere preoccupandosi al tempo di rispettarne gli stili e le convenzioni. Ed è per questo che Leander, anche dopo diversi anni, resta l’opera più influente del team inglese.










 

  Piattaforma Amiga ECS / OCS
  Titolo Leander
  Versione Europea
  Anno immissione 1991
  N. Giocatori 1
  Produttore Psygnosis
  Sviluppatore Traveller’s Tales
  Designers Jon Burton, Andrew Ingram
  Compositori Jon Burton, Matthew Simmonds, Tim Wright
  Sito Web www.ttgames.com
  Sist. di controllo Digitale - Joystick
  Numero tasti 1/2
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Multidirezionale
  Formato Floppy Disk
  Numero supporti 3
  WHDLoad Sì [link]
  Genere Arcade adventure
  Rarità
  Quotazione 70 - 90 €
  OST No

 

Nell’idea iniziale del team creativo Leander doveva rimanere esclusività Amiga. Tuttavia, licenze di conversione per i sistemi Atari ST e Mega Drive vengono acquisite abbastanza presto. Su ST (W.J.S Design) il gioco subisce un notevole ridimensionamento. Gran parte degli sfondi è omessa, lo sprite del protagonista viene ritoccato, il suono risulta anch’esso di minore impatto. Sulla console Sega il videogioco prende il nome di “The Legend of Galahad” ed è sviluppato da un team interno a Electronic Arts. Il port è funzionante. Rispetto ad Amiga le grafiche generano superiore dettaglio e solo il suono, in effetti, è meno incisivo.