LEANDER di @Luca
Abiusi
Nel corso dei primi anni Novanta
l’Amiga vive il suo momento di apice malgrado lo spettro della pirateria
dilagante e la sempre maggiore influenza del mercato delle console. Il computer di
Commodore viene difatti trainato da un blocco di titoli-bomba capace, almeno
in Europa, di competere con gli ultimi platform di Sega e Nintendo. Le software house
investivano. Lo si comprende manipolando l’elegantissima confezione “book” di
questo Leander, rifinita, pesante a valorizzare un’opera che in sé
manifesta grande attenzione per il dettaglio, come l’impeccabile animazione del
protagonista e lo scrolling multidirezionale in parallasse. L’orchestrazione sonora consta
in brani di elevata qualità tecnica – gli strumenti a fiato del primo livello ce li
ricordiamo ancora – e anche qui i realizzatori dimostrano di poter fare meglio dei formati
cartuccia se non altro perché, tempo dopo, se ne sarebbero usciti con un
port Mega Drive dai suoni un po’ distorti.
Del parco opzioni è interessante la possibilità di
utilizzare il secondo pulsante del joystick (per chi ne possedesse di
compatibili); tramite l’inserimento di determinate password si potrà inoltre
incominciare dal livello che si è precedentemente affrontato. Storicamente,
Leander sembra coincidere il medioevo giapponese. Esseri soprannaturali,
mostri non proprio amichevoli creeranno l’insidia, il tramezzo tra Noi e la
conquista alla chiave di accesso al quadro succedente. Sussiste il negozio.
Per cui si potrà attingere a un largo ventaglio di super spade, di quelle
pesanti che spazzano il nemico a distanza; viene altressì messa a
disposizione larga variazione di armature, che poi servono ad aumentare i
punti vitali ma che anche consentono di sferrare l’incantesimo del pulsante
a caricamento: il misuratore messo alla base ne realizza il grado di
potenza. Quindi il display s’illumina di nitidezza e di colore. E anche
d’immenso, massì. Gronda, lo schermo. E tuttavia è il disegno artistico
delle creature, quelle giganti che occupano cento, duecento pixel, a
istituire l’apice creativo dell’opera, per quanto poi sia l’arazzo del
bidimensionale che si estende in multidirezione a fare della bestia l’essere
centrale del visus: si vedrà il drago alato, l’arpia che sbrana,
i pipistrelli, le statue, quadrupedi come insetto a otto zampe e quel che
adunque lo stereotipo del fantastico è abile a riferire muoversi per schermo
manco se questi non stiano lì, adesso, ad avanzare il diritto di essere la
realtà cui le adolescenze classe ’77 da tempo erano in ricerca.
Superfluo dire che il movimento a 50Hz di
protagonista e bestiario siano ancorati e che lo scorrimento scriva la
fluidità dei meglio coin-op se è poi questa manovalanza d’alto dipartimento
a creare Leander quale oggetto di gran manovrazione avventurosa
d’impalcatura arcade capace di rinverdire, addirittura, la manodopera di
Reflections; la misurazione dei tempi di
gioco vorrebbe perentoria ritornare all’infrastruttura degli ultimi
Wonder Boy.
Sicché, a intingere il cliché del genere a scandaglio rintracciabile su
console,
e dunque mischiando esplorazione e azione, Traveller’s Tales introduce in Leander un sottotesto di
negromanzia cui ci si abbandona nonostante il più che persistente grado di
ostilità. Leander va assorbito nel tempo. Attraverso l’assunzione delle
intelligibili variabili del level design, le quali incoraggiano il
ripercorrimento allorché si
resti bloccati in un imprecisato luogo e ci si smarrisca all’esplorazione dello stesso,
il videogioco descrive il fascino dell’interagibile crescente, la variazione
tattica da sfoderarsi al cospetto del singolo nemico. L’azione è
frastagliata. La linearità, pur avvistabile nell’atto del salto sul bordo, è
invero pensata come viatico necessario ad alimentare il senso della disfida
da sala giochi, per affermare un tipo di platformismo che sia equidistante tanto
dall’action game quanto dall’arcade adventure. Nel 1991 Leander annette qualcosa di
importante al classicismo del platform game di consumo, che
quantomeno nell’area dei personal computer era rimasto fedele alle due
azioni irreversibili mutuate dai coin-op: saltare e sparare. Traveller’s
Tales, in un certo senso, evolve i meccanismi del genere preoccupandosi al
tempo di rispettarne gli stili e le convenzioni. Ed è per questo che Leander, anche
dopo diversi anni, resta l’opera più influente del team inglese.
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