Era
sembrato che i colori divenissero cento e più, sul Commodore 64, non su chissà
quale sistema giapponese a sedici bit con gli sprite hardware e i chip custom.
Questi che fecero il gioco si chiamavano Apex. Ne avrebbero anche sviluppato un sequel ma
è Creatures, il primo, a realizzare il discorso del meccanismo del caos attraverso cui erigere l’impensabile. Restrizioni. Ché in teoria non era fattibile che il videogioco smuovesse sì tanta bidimensione con tale
fluidità, ma è pur vero che il linguaggio teorico non contemplasse la fase
dell’ottimizzazione, la variabile del playtesting ossessivo e della
riscrittura delle linee, ancora e ancora per superare l’idea della
programmazione e avvicinare la poesia del codice. Creatures rivendica gli
schermi delle torture. Si crea letali sottogiochi a interruzione
di continuità degli zero e degli uno che sono una specie di shock per chi, due istanti
prima, balzava di piattaforma in allegrezza.
Al
rotondo design delle creature
si vuol contrastare la festa del sadismo; si osserverà presto batuffolo
brandire disinvolto una pesantissima sega elettrica in azione di trituraggio
di cervella, macellerie in cui è tutto uno spruzzo di brandelli che arrivano
ovunque.
Ma Creatures si spinge oltre. Non si limita a riferire una variante estetica al
genere platform allor quando usa rifluire il
virtuosismo, l’innovazione delle visuali alternative anco restando sui 50Hz
dell’animazione, sfondi a scorrimento differenziale di classe A, protocollo
AA, da che venga sistemato a schermi lo standard di nuova compressione del
platformista a otto bit e sicché l’alberame sia quantomeno capace di
acquisir coscienza a sputare palle di fuoco e i guardiani-palla al rotolame davanti al castello, il cui interno si
metterà tanto per dire a realizzarsi l’angolo di prospettiva. Il culmine del
gameplay e realisticamente della storia del microcomputer accade, di grazia,
alla sequenza notturna del plenilunio, che assume significato presso le mura del
maniero dove la sagoma della strega sulla scopa attraversa; per un
istante circa il Commodore 64 diventa un Amiga, un Mega Drive, uno Sharp X68000
espanso a 4MB, un Super Nintendo.
I fratelli Rowland sono abbastanza loro. Mettono a video l’alchimia e fanno
sì che l’oggetto bidimensionale si determini simmetrico, si consumi
funzionale al display, coerente il movimento.
Creatures
è la sovradimensione del platform per computer, esperimento estremamente arcade in
grado di ridimesionare gli inaccostabili coin-op del sol levante;
mentre in sala giochi fior di bestie in firma Capcom infuriano, su questo
hardware apparentemente insignificante si rileva il solco della
supertecnica, e Ghouls’n Ghosts, d’improvviso, non è così distante anche
sul lato della manovrazione: Creatures evidenzia i meccanismi collaudati
dell’action
game. Arrivano le sezioni subacquee, il surfing su fiumi
stretti, i doppi salti, il beam a caricamento – l’arma centrale del
Radcliff
– e, in sommità, i sanguinolenti intermezzi. Gli intervalli del multiload
realizzano il negozio: si deve nel luogo acquisire arsenali e potenziar
questi più volte fino
a capienza ultima in subordine al numero di peluche precedentemente acquisito, per cui vi è priorità di arraffare ingame
pupazzismo stazionante in alto, dove sta il mostro. Creatures è un platform
classico, lineare. E giusto affermando il suo linearismo la opera Thalamus
proclama lo statuto del gioco a piattaforme degli anni ’90, in una
visione già nostalgica della bidimensione orizzontale e su di un sistema che, ormai,
mostrava i suoi
anni. Ma però vi è questa deliziosa colonna sonora superiore. L’intera
intro, gli stacchi dei negozi fino al percuotere indotto degli schermi
di tortura suonano la
profondità del SID. Si
deve guardare, contemplare il quadro della foresta che marziale in
parallasse introduce il luogo roboante fantasticheria, ché vi è il dovere di raccogliersi
difronte alla bellezza, movente di salvazione del videogioco.