Esservi
nell’Ottantanove ricorrente gioco di nome Willow che dovresti trovare nelle edicole
buttato
dentro le supercassette gialle – ch’erano grossomodo tutte di quel colore – che vede codesto prode eroe
abbastanza uguale ad Arthur cimentarsi con verga e affrontare quadri orizzontalissimi di figura Capcom che
potresti pensare pervenire dal coin-op omonimo ma che in verità provengono
da un videogioco di nome Vardan, platform realizzato da un italiano per
ItalVideo Srl. nel 1988 dove si avvistano le api giganti e i teschi che sparano
proiettili ad altezza omino. Vardan è più bello di The Order 1886 anche
graficamente. Ponendo a disserzione il Vardan col gioco di PlayStation
4 si avvista percettibile il superamento dell’impianto estetico dell’opera di
Santa Monica sul dettaglio di un fondale che in Vardan risulta anche assente, ma che
però puoi immaginarti.
Lo sprite del Vardan trattiene inoltre un numero
di fotogrammi superiore a due. E poi il programma del Frabetti viene sistemato per
intero nella Ram del Commodore 64 così da non comportare il caricamento,
ricavando comunque a sé un altro punto a favore in funzione della guerra dei
sistemi next-gen grazie al complesso algoritmo di gestione tridimensionale che il
macchinario esprime per ridondanza sull’asse X. Ma volendo entrare nel merito
del gioco in sé si deve riscontrarvi il level design generalmente
legnoso. In fase di salto verso il blocco che si muove a destra e a sinistra nel
fossato medievale manco se in concorso a tempi di produzione da somministrare a
video su margini di mezzo millesimo al più, il triviale orizzontalismo del
Vardan confligge la di lui ambizione di risultare il miglior platform di tutti i
tempi contuttoché il Vardan rimanga largamente superiore a Dying Light anche nel
suono. Frabetti ha stima del chipset audio del Commodore 64. Si nota come le note ch’egli mette nel giuoco
siano di chi ha disposizione al montaggio di rumori che improvvisamente
diventano struttura, istantanee del luogo dove questi hanno avuto origine pur
malgrado un limite di persistenza – sette secondi messi in loop – che tende a
ridimensionare le orchestre a base SID istruite dal nostro.
Vardan è chiaramente un videogioco. Lo si può
capire da che spostando lo stick verso una direzione si guarda il cavaliere
rispondervi coerente, ed è straordinario vedere quanto le tecnologie del
videogioco si siano spinte avanti l’immaginabile in Vardan allorché si assiste
al prodigio dello scorrimento che aggiorna lateralmente fino al limite del
livello mancando l’interruzione sistemica di un The Order 1886, nonché tutte le
combinazioni stylish di un Sunset Overdrive, e iniziando il lettore al
fantastico mondo dell’interazione visuale; nel 1988 il titolo di Frabetti, che
evidentemente rientra nei videogiochi di scuola Capcom, può essere ultimato in circa
nove minuti. Ma non avverrà, almeno non subito: per mettersi in condizione di
ripulire il mondo infestato di mostri e orchi si renderà urgente stendere una strategia di
sopravvivenza all’arcaicum che dovrà significare una o più notti di estrema
purificazione dell’ego e pertanto, all’alba del sesto giorno e qualora ancora vivi,
potrebbe succedere che si arrivi a impalare il demone senza nemmeno ottenerne
attestati di vittoria, al massimo una scritta in cui si dice che
hai salvato il mondo e ti si ringrazia. Eppure sei ampiamente dignitoso, Vardan.
Nel medioevo, quando eravamo avventurieri e ti chiamavi Willow, buttato dentro
una cassetta piena di giochi mediamente brutti potevi addirittura diventare un coin-op
studiato per il Commodore 64 e consacrarti alla letteratura di genere.