PROGEAR NO ARASHI di @Luca
Abiusi
Dopoché il suo verticalismo divenne il punto fermo
delle sale arcade di fine millennio, nel 2001 la veterana Cave dà luogo a un ambizioso
videogioco a scrolling orizzontale e
ingegnerie aerodinamiche parallele di nome Progear no Arashi. Lo steampunk
è quello di
Steel Empire.
E indubbiamente tornano alla mente le diavolerie verniane di 20.000 Leghe
Sotto i Mari e con la stessa potenza visiva i castelli fluttuanti di Laputa, e
si staziona sul particolare, sul level design,
sull’elemento scenografico. Ma si resta ancora sul
tipo di gameplay che aveva portato
lustro a Dodonpachi e
Guwange, benché il cabinet di Progear non sembrò riscuotere uguale
risposta sul micromercato europeo delle simulazioni sportive, dei picchiaduro a
incontri e poco altro con tutta la spinta promozionale che stava dietro a
Capcom, eppure chiunque avesse avvicinato codesta epopea di marchingegni che
decollano e distruggono vi avrebbe trovato l’impronta della Cave
autenticissima, colei che vuol rendere manifesto il desiderio di ritornare al
classico dello spara e fuggi, anche se poi è lei stessa a prenderne le distanze, provocatoria. Maniacale.
I controlli presentano un sistema di fuoco
standard a continuanza frontale e sgangiamento di super bombe mediante tasto
due. Ma vi sarebbe qualcosa di ulteriore da dire sulla possibilità di
agganciamento a tre diversi componenti satellitari attivanti benefici di lock-on e homing
calorico come disvantaggi apparenti sulla velocità, e diventa opportuno
studiarsi i manuali d’uso dei biplani opzionabili già che se il Gambler
monta
un cannone a direzione “aperta” il mitragliatore del Militant
dirige più in linea di orizzonte, epperò va detto che in rispetto della tradizione Cave
ambidue i raggi
di penetrazione assumano significative consistenze già dal primo livello, in
modo da potere scatenare bene il Jeweling
Score, strategia di moltiplicazione numerica portante la conversione dei proiettili in preziosi denominati Rings e Stones
che una volta acquisiti materializzano il bonus. È perlopiù una questione di
mantenere uno stato di bilanciamento tra l’economia dell’accumulo da
congestione e la necessità di liberarsi dei detriti,
giacché nei momenti di massimo accalcamento si ha perlopiù il tempo di perdere una vita e
dissipare lo scoring.
Progear no Arashi definisce un tipo di
struttura meno complesso di quanto il Jeweling Score porti a
presupporre, e si tende a perseguire una chimica d’azione cui possa
attingere anche l’utente non addetto al sovraccarico del punteggio, che può
o meno essere acquisito e che comunque diverrà parte di una consumazione
rigorosamente voyeuristica, ancora se in capo a una intenzione
estetica di stretto fotorealismo. Progear no Arashi
è come uno di quei cinegiornali realizzati durante la Seconda Guerra Mondiale dall’esercito alleato
nei quali si vedevano i bimotori MItsubishi roteare in picchiata verso queste
gigantesche portaerei classe Yorktown, quelle che potevano trasportare fino
a cento aeroplani da combattimento e che erano come autostrade che si
spostavano in mezzo all’oceano. Vi è sentore di guerra a romanzi, del genere che si è tutti eroi, i frammenti
del
cinema dove vi è il barone del cielo danzante tra le raffiche. Per
taluni meccanismi avrebbero probabilmente dovuto inserire fotogrammi d’animazione
aggiuntivi. Ma intanto, il
campo lunghissimo dello sfondo riversa il grado di dettaglio della migliore tradizione Konami,
un playfield che in esteso lo esporremmo volentieri alla parete interna di un santuario eretto
allo shooter giapponese per imponenza
creazionale allora che l’interagire diretto può qui
diventare pressoché superfluo; si ha difatti l’impressione che l’immaginifico
mondo renderizzato da Junya Inoue si divori il videogioco,
e che alla fine non rimanga che mettersi in disparte.
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