Per
quanto sia da considerarsi come il port di
Nemesis 2, uscito nel distante Ottantasette, Nemesis
’90 Kai si avvicina più a un rifacimento dello shooter dell’MSX che a
una conversione diretta. SPS ci mette pesantemente del suo e oltre a ridisegnare la
grafica originale dispone per l’X68000 due livelli inediti, quattro boss inediti, mezzo
quintale di colonna sonora inedita per abbondare. Ci si era quasi convinti che il
Gradius
II: Gofer No Yabou – da non confondere con
Nemesis 2 – occupasse la casella numero uno
nella top ten degli spara e fuggi Konami con fibra superiore, che d’improvviso
irrompe James Burton a decretare che otto mondi sono roba da cryptochecche e che vi è
bisogno di qualcosa di più radicale: «facciamo quattordici livelli e ci metto dentro
pure il Metalion, che la Vic Viper neppure la vede». Nemesis
’90 Kai
è un atto di devozione alla cultura delle navette spaziali in full upgrade, un
eccesso di accessi a mini quadri per rifornimenti extra, un macigno di classicismo anni
Ottanta, un macigno di classicismo anni Novanta. Un macigno di gradiusismi sismici.
Gradiusismici. Quanto bisogna soffrire per battere Nemesis ’90 Kai.
Asteroid Field ed M Class Planet sono
decimo e undecimo mondo pensati per lo Sharp, ma bisogna arrivarci, prima. È possibile
che si sia giunti allo stadio di tolleranza zero dello sparatutto al di fuori del cosmo
arcade, sebbene anche i rigidi schemi di Nemesis 2 sembrino noccioline a
confronto della unilaterale ferocia degli schieramenti volanti alieni. Ma poi
– e il
risvolto è questo – il superamento delle insidie viene premiato con la oblazione di un
mondo, di una serie di immagini di mondi che neppure
Gradius Terzo mi
visualizzava in sala giochi. E forse manco Gradius
IV. È importante
scavare a
fondo, penetrare gli abissi: l’assunto di Nemesis ’90 Kai è quello di allargare
l’arsenale di base del Metalion con la estirpazione delle armi dei guardiani di fine
livello, e lo si dovrà fare insinuandosi nel cuore degli organismi biometallici all’atto
della deflagrazione. L’atmosfera è impagabile: nei meandri di questo mini livello un
allarme avvisa che vi è ancora tempo, quindi eliminando il nucleo si otterrà uno
scomparto upgrade supplementare. Accadeva lo stesso in
Nemesis 2, benché
abbattendo il core entro quindici secondi si potesse ottenere più di una unica
arma per boss; in Kai si sblocca sempre e comunque un singolo potenziamento. Salvame
Jesus. Perché questa è l’idea di videogioco arcade che per anni si è cercata
invano.
Le caratteristiche che fanno di Nemesis ’90 Kai un titolo
di culto sono le stesse che hanno affisso Akumajou Dracula X68000 nelle bramosie
del ricercatore: qualità, rarità, esclusività. Ma se il Castlevania sarebbe stato
riproposto in formato PlayStation nel 2001, il Nemesis qui presente resta a tutt’oggi una
opera destinata e confinata ai circoli elitari del computer Sharp. Non sappiamo se le
meraviglie verdeggianti del secondo livello – Jungle Planet – o le cascate del decimo
possano giustificare l’acquisto della macchina, ma si è abbastanza persuasi del fatto che
chiunque abbia visto girare Nemesis ’90 Kai al di fuori dei limiti dell’emulazione
ne sia rimasto ammaliato. Anche rimanendo fedele al modello stilistico della
precedente versione MSX e rispettando le estetiche arcade – M Class Planet ripercorre per buona parte
il design del primo livello di
Gradius – SPS disegna un
Nemesis alternativo,
parallelo, quasi iremiano. Il Metalion si comporta come la Vic Viper, persiste l’idea di trovarsi negli universi Konami eppure il rimescolamento della struttura grafica e
del level design piazza lo sparatore tra i remake di maggiore influenza
artistica prodotti negli anni Novanta. È poi necessario esprimere
ammirazione in direzione
della scrittura musicale. Che SPS realizza per l’audio interno e per la
gamma dei sintetizzatori MIDI
MT-32 ed SC-55. La resa migliore si ottiene comprensibilmente con quest’ultimo settaggio
–
il test è avvenuto su Roland SC-88, retrocompatibile SC-55 – a ragione di una polifonia
ramificata che valorizza ancora di più l'avvincente suono originale. Si dice che, in questi
casi, sia superfluo ribadire la grandezza.