NATHAN NEVER: The Arcade Game
di @Luca Abiusi

Sì ma però sarebbe arcade solamente parziale. Anche se era meglio se facevano una cosa di classe esplicitamente unitaria con motivi di esecuzione orizzontale e tsunami d’ossa perché, detto tra noi, il videogioco si vede che soffre precisamente nel quando si allarga sulle stringhe adventure che ne interrompono la continuità bilaterale alla Shadow of the Beast, del quale in corso di avanzamento si menziona, oltreché l’impianto strutturale, un ipotetico episodio V con tanto di manifesto affisso sulle pareti cybertronik, tanto per non farci scordare di stare nel futuro post-2024 pur malgrado si potessero di nuovo fare cose superiori rispetto al coefficiente di coerenza iconografica col fumetto della Bonelli, la quale non dev’essere invero intervenuta gran che alla fase dello sviluppo, se si esclude l’inclusione dell’albo inedito. Ma il videogioco possiede un suo dire. O meglio, siamo abbastanza sicuri che nel ’93 vi fossero videogiochi ben peggiori di questo Nathan Never, che una sua dignità la richiede sin dai primi schermi animati.

Il fatto che hanno fatto copia e incolla del motore grafico della Reflections non è necessariamente una cosa da ergastolo. Del resto quando Pompili penetrò il codice sorgente di un videogioco come Armalyte non gli si contestò nulla di fuori del discorso della evidenza delle prove, e comunque il suo shooter sapeva diventare cattivo uguale, per cui se questi coder italiani trovarono come replicare – e assai bene anche – il multiparallasse della saga dei Beast si deve giustamente dir loro che hanno fatto un gran lavoro, che in effetti il character design e le animazioni tutte devono avere richiesto settimane di meticolosa compilazione, e il colore anche, lo sfondo, il dettaglio in particolare (del particolare) diffondono vibrazioni di videogioco di professionalità, non come ai tempi del port Amiga di Dragon’s Kingdom, il cui abbandono fu perlopiù dovuto alle inadempienze di una Genias che soleva abbandonare i programmatori a loro stessi e fuggire col malloppo. Ma qui vi era di mezzo Bonelli e non si potevano fare brutte figure. Il gioco consiste in un action adventure in cui ogni tanto bisogna saltare. I dialoghi con le persone servono perché poi queste possano indicare dove andare a cercare eventuali oggetti per aprire portali e cose; è interessante il poter concedere al nemico ferito facoltà di sopravvivenza, e tuttavia l’albero dei dialoghi si riduce a domande e risposte istantanee insufficienti a determinare un discorso di empatia. Si avvista un segmento di gameplay tipo gioco del 15 dove si deve comporre il codice di accesso a un settore nascosto. Si rileva ripetizione ma non al punto da indurre l’essere vivente col joystick a dire «basta, è arrivata l’ora della sessione giornaliera a Sierra Soccer». Non prima che sia trascorso un quarto d’ora, a ogni modo.

Nathan Never: The Arcade Game è un discreto esercizio di stile. Si acquista assieme allo scatolame un faldone interattivo e autoconclusivo furbescamente connesso alla saga a fumetti, che per un fan poteva addirittura figurarsi occasione esaltante dacché difficilmente – fino all’uscita de “Gli Uccisori”, se non altro, che aveva sdoganato il potenziale videoludico dei personaggi Bonelli – avremmo previsto di impersonare sittali icone cartacee, financo su Amiga, e nell’arco di un così ristretto margine temporale. Eludendo la fase di gestione dei dialoghi, che portano via una diecina di minuti, il videogioco tende a finire presto. Diciamo in mezzora di stazionamento da uno schermo all’altro, dove si poteva mettere qualche mid-boss, per rendere la cosa più allegra di un salto carpiato in corsa da eseguire a oltranza, a evitare un robot che in ogni caso tende a opporre resistenza minima, e probabilmente avrebbero dovuto soffermarsi sul numero di mosse eseguibili, che è risicato. La tecnica generale regge. Oltre il differenziale virtuoso dello sfondo, l’enorme quantità di colore esibita a schermo e il mechanical design, che nel finale vede questo esoscheletro assumere criterio deambulante, si dovrà rilevare il dettaglio del suono di background polisinfonico che deve avere applicato pressione sui quattro canali audio del microchip Paula pur nonostante questo insistente, continuo riferirsi all’opera di Psygnosis, e quindi alle librerie audio di Tim Wright. Un tema d’influenza techno avrebbe meglio reso la fantascienza distopica dietro al personaggio eppure, e per il medesimo principio di riverenza comminabile a Dylan Dog: Gli Uccisori, ci risulta difficile parlar male di Nathan Never: The Arcade Game, ulteriore, rarissimo cimelio Genias da cinquecento soldi almeno.










  Piattaforma Amiga ECS / OCS
  Titolo Nathan Never: The Arcade Game
  Versione Italiana
  Anno immissione 1993
  N. Giocatori 1
  Produttore Genias
  Sviluppatore Genias
  Designers Emanuele Viola, Marco Genovesi, Sfefano Aquino, Riccardo Arioti, Roberto Genovesi
  Compositore Marco Filippini
  Sito Web ...?
  Sist. di controllo Digitale - Joystick
  Numero tasti 2
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Laterale
  Formato Floppy Disk
  Numero supporti 3
  WHDLoad Sì [link]
  Genere Action adventure
  Rarità
  Quotazione 400 - 500 €
  OST No

 

Il videogioco, esclusività Amiga, viene immesso in una unica tiratura contenente l’albo fuori serie “Guerra alla Yakuza” – scritto da Genovesi-Medda-Vigna-De Angelis, avrebbe conseguito ristampa ufficiosa presso non identificabili fiere del fumetto tenutesi nel Lazio verso metà anni Novanta e ristampa ufficiale nel volume Anafi “Un editore la nuova avventura” – e un poster formato extra large. Nathan Never figura tuttora tra i titoli Amiga più ricercati.