SHADOW OF THE BEAST III
di @Luca Abiusi

beastcover2.JPG (13622 bytes)Vi sono titoli il cui prestigio può delinearsi sul singolo spartito. Sulla traccia. Si dice che Shadow of the Beast III non sarebbe stato, privo di Tim Wright in camera di composizione, o quantomeno che non avrebbe ottenuto il richiamo che si serba ai grandi classici, alle opere che vogliono preservarsi lo stato del mito e che vogliono tramandare il mito alle generazioni venture, perché il mito diventi una storia da contare ai nipoti ingombri di tecnologie, di PlayStation. Eppure il terzo episodio della saga Psygnosis è ben più della – pur sublime – colonna sonora portante: è invero la celebrazione della bestia, la culminazione di un genere di action game che rivede i tempi dell’arcade adventure e che ripercorre i vizi di realizzazione della struttura a quest di tipo orizzontale. Lo avessero fatto i giapponesi, e avesse esibito per protagonista un eroe con la spada e lo scudo, Beast III otterrebbe oggi il riconoscimento unanime di pietra angolare dell’avventura a controllo diretto. Spetta a Noi, come è d’uopo, di riscrivere la storia del videogioco e d’inserire la opera Reflections nella sfera del videogioco che non ha tempo. Che non subisce il fardello del tempo. Oggi si è deciso di rivoltare la storia. E il tempo. 

Il vigoroso orchestrare delle musiche non oscura, opportunamente, la virtuosità delle grafiche: era accaduto per i primi due Beast, ma ancora Reflections manipola la palette di Amiga estraendovi colorazioni e contrasti decisi, fluidificando al sessantesimo di secondo un effetto differenziale che si manifesta su più strati. L’abilità dei grafici nell’adopero delle sfumature agguanta l’apice addentro i fondali, che si sviluppano e si estendono in lungo un piano in 2D dettagliato, multiforme; il bucolico naturalismo, la spaziosità che infestava i precedenti capitoli vengono ivi riproposti a pennello di scenografie possibilmente più inquietanti. Quindi il mondo di Shadow of the Beast III, pur ostile, sa immergersi nel fiabesco dei paesaggi e sa attingere da essi la sua essenza vitale. Potremmo accampar per giorni in declamo della unicità estetizzante delle catene montuose del primo livello, imponenti, irraggiungibili, o in decanto di quel cielo assai blu, assai rosso di tramonto. Ma non vi indugeremo poi troppo, ché si ometterebbe di rivelare al lettore il disegno degli sprite, principali e non, a incominciare dal controverso protagonista, il quale è un corpo estraneo e moderno che dunque deflette i luoghi fantastici e apparentemente arcaici delle estetiche. L’innovazione del terzo Beast in raffronto ai precedenti due consiste proprio nell’umanizzare il character design, che resta bestiale solo a figurazione del nemico che attende.

È il contrasto spaziotemporale a rendere, se vogliamo, la attrattiva della visione videoludica dell’insieme, a sostegno di questo radicale cambio di rotta intrapreso da Reflections come certificato di affermazione dell’arcano. L’enigma. Shadow of the Beast III racconta di venture d’orizzonte da fronteggiarsi privi d’arme e d’arnesi: l’oggetto del traversare diventa estemporaneo, dirige verso la manipolazione ambientale a fine di portar risoluzione al meccanismo composito, azionar di catena a ingranaggio, muovere a penetrazione di cancelli fortificati. V’è di che sofisticare il gameplay e uscir di testa a scovar la strada, l’appiglio che conduca in liberazione di creature che poi chiuderanno una ellisse d’estrema funzionalità logica (e logistica) per infine restituire a chi manovra l’opportunità di consumare paralleli un universo che genufletta assoluto la sobrietà della scrittura. L’idea del raccontare a mezzo di immagini e non di storiella, ché di novelle s’ebbe a consumarsi retine ai tempi di Infocom, funziona poiché a funzionare è l’atto che accosta l’intuizione dell’incastellatura a incastro, l’immancabile momento del «lo sapevo che bisognava fare così». Videogioco grave, gravoso anche nell’episodio arcade che prelude e segue il rompicapo. Reflections non si fa mancare la creatura mostruosa che irrompe e mortifica la processione, dopoché si è sopravvissuti al rebus più astruso e quando si pensava che il gioco cominciasse a concedere istanti di (meritato) rilassamento. Al contrario Beast III vuole il Nostro sangue. Bisognava gestire meglio la questione della frustrazione, che interviene a sancire il prolungato ripercorrere del livello già battuto. Ma se così non fosse stato staremmo qui a definire l’avventura del secolo. Cionondimeno, Shadow of the Beast III avvicina con destrezza le vette più alte del videogioco occidentale moderno.









 

  Piattaforma Amiga ECS / OCS
  Titolo Shadow of the Beast III
  Versione Italiana
  Anno immissione 1992
  N. Giocatori 1
  Produttore Psygnosis
  Sviluppatore Reflections
  Designers Cormac Batstone, Paul Howart, Jeff Bramfitt, Martin Edmondson
  Compositori Tim Wright, Lee Wright
  Sito Web reflections.ubisoft.com
  Sist. di controllo Digitale - Joystick
  Numero tasti 1
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Multidirezionale
  Formato Floppy Disk
  Numero supporti 3
  WHDLoad Sì [link]
  Genere Arcade adventure
  Rarità
  Quotazione 70 - 100 €
  OST Sì [Shadow of the Beast, 2008, Binary Zone / One Man & His Mic #6, 2008, Binary Zone]

 

Sebbene inizialmente prevista, la conversione Mega Drive subisce cancellazione ai suoi primissimi stadi di sviluppo. Ciò renderà Beast III una esclusività Amiga. In questo terzo episodio Psygnosis opta inoltre per un disegno artistico di copertina più convenzionale, rinunciando all’oneroso apporto di Roger Dean; una edizione limitata del videogioco contenente una spilla verrà distribuita anche in Italia, apparentemente senza variazioni sul prezzo.