SHADOW OF THE BEAST di @Luca
Abiusi
Nel
giorno della presentazione di Shadow of the Beast occorsa al PC Show di Londra
del 1989 lo stand della Psygnosis era
il
più affollato. Inutile negarlo: le grafiche del titolo Reflections erano
sintesi del culto ottantesco per il bello. Nulla di simile si era visto, prima di
allora, in ambito strettamente iconografico, neppure sulle console di origine
giapponese che avrebbero presto iniziato a invadere il mercato europeo.
Il largo riscontro di vendite fatto registrare dalla bestia è in
effetti spiegabile più come conseguenza di questa idea estetica esasperante il colore che per attribuibili intuizioni
sulla struttura del gameplay. Shadow
of the Beast esercita lo stile. Esiste per difendere il
super-parallasse, cui ci si deve ancorare senza preoccuparsi delle meccaniche,
che quindi risultano del tutto riciclate, e ancor meno del level design,
le cui funzioni di base sembrano venire disconosciute.
L’animalesco attore vigeva in forma umana. L’antica maledizione
l’ha portato a uno stadio bestiale e per
cui si deve, per forza di
cose, trovare e annientare i responsabili del misfatto. Si è davanti un arcade con
elementi d’avventura abbastanza lineare. Sicché si procede in orizzontale,
si scova
sottopassaggi, si penetra caverne, si utilizza chiavi e via instradando si
può aggravarsi altresì l’arsenale. Però l’azione si realizza dinamica per il fatto che per ogni metro percorso vi
è altrettanto mostro che attacca feroce; se è vero che con certo allenamento (e
a mezzo di
vite perdute a iosa) sia possibile contrastare antagonismi in efficienza, è anche
avvisabile che
i programmatori avrebbero dovuto considerare una più attenta fase di
playtesting.
Vi è ostilità: la riserva vitale della bestia tende a esaurirsi presto al
contatto, e il margine d’errore è risibile, vuole che si ripieghi nel salto
mortale, dice che lo scontro col guardiano di fine livello deve essere un
disperato atto di resistenza. I benefici dell’arma più potente sembrano
sussistere, ma non aiutano come dovrebbero. Il diffuso senso di frustrazione
verrà addolcito dall’idillio
dei nuovi fondali ma da Reflections avremmo francamente preferito un
videogioco.
Prendere o lasciare: Beast è una passerella imponente. Una dimostrazione di
grande tecnica visuale. Uno spot alle capacità tecniche di Amiga 500.
Per Reflections vi era la priorità di
annichilire. Ipnotizzare. Le estetiche dovevano essere così impossibili da
generare la compulsione all’acquisto, e su questo versante la software house
inglese dimostra talento quando produce i centotrentadue abbaglianti colori
in simultaneo a schermo e l’animazione di allarmante fluidità, e lo
scrolling perpetuo e il multiparallasse delle pavimentazioni che si prende
dodici strati almeno. Sfumature sensibili. Character design magniloquente
del protagonista. Grande uso di stile al disegno del boss. Si dà lezioni di
programmazione per annullare il rallentamento e disporre di imperituro
scorrimento. David Whittaker suona virtuoso. Il modulo dello schermo dei
titoli è allucinazione, canta sinfonie di luoghi e tempi altri, si scrive
l’arcano del mistero con lo strumento a fiato riprodotto in apice di
campionatura. La presentazione. L’apparenza. Tutto il resto non aveva
importanza. Lo avrebbero acquistato lo stesso il videogioco con la t-shirt
per dentro, che se la vuoi adesso devi come minimo versare euro 200 al
venditore Ebay con sede in UK. Si registra accessi ai dischi assai
sopportabili, malgrado lo swap iniziale, ma poi si tende a infilare i dati
in memoria e a caricare il minimo opportuno. Va detto che con l’immissione
di WHDLoad (l’installer che supporta un buon 90% dei titoli Amiga) il boot
da dischetto si sgravi la sua funzione un tempo centrale, e benché non tutti
si sia disposti ad acquistare un 1200 munito di hard disk o di adattatore
compact flash lo si doveva dire poiché lo scriba non aveva altro da dire in
merito al discorso Shadow of the Beast, e doveva riempire i vuoti.
Reflections avrebbe imparato dei suoi errori e la si vedrà riuscire negli
anni a conquistarsi lo stadio di eccellenza. Ma per ora si conferirà a Beast
una valutazione che pur premiandone il suono e le visuali terrà
evidentemente conto del discutibile grado di intrattenimento fornito, e di
questa mediocrità di fondo che sarebbe opportuno di estendere anche al
secondo episodio, per uno sconto quantità. Ma vallo a dire ai collezionisti.
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