PRINCE OF PERSIA
di @Luca Abiusi

princeofpersia_cover.jpg (112239 bytes)Fumito Ueda permettendo, la figura comunemente resa del game designer che si realizza il videogioco in assolo può dirsi definitivamente estinta. Si è per questo ripreso Prince of Persia, il gioco in capture di Jordan Mechner che viene scritto su di un pezzo da museo – e lo era già allora – come l’Apple II; si è ritrovata la coerenza strutturale cui questi listati di bidimensione pura dovevano attenersi, nel periodo di fine Ottanta che vede l’inizio della ridefinizione del mercato occidentale, dopo l’impasse della Atari. Si è ripercorsa la rivoluzione del Principe di Persia, quest’avventura che assume lo spessore dell’arcano più in su della tradizione del linearismo e oltre le convenzioni dell’action game per undicenni, dodicenni generati in provetta da Nintendo e immessi come alieni bimbiminkia capaci di conquistare il mondo. Prince of Persia è oggetto che rivendica la cultura neoclassica (nonché caucasica) del platformismo. Saltare sì, ma ispezionare e pensare anche, e poi confluire nella antologia, essere profeti del videogioco che verrà.

Prince of Persia vuol essere smisurato. Così le estetiche di apparente spartanità effondono il metodo, la ricerca della visione schematizzata ed elementare, per catturare l’immaginazione di chi osserva già dall’ingresso nelle segrete. Essenzialmente, l’intero gioco ruota attorno al carisma del nostro alter ego. Questi si anima concatenando un indicibile numero di frame attraverso la tecnica del rotoscope; le sinuose movenze del principe realizzano istantanee il solco tra il già dato di una animazione di secondaria importanza e un futuro prossimo che avrebbe visto la creazione di monumenti al motion capture quali sono i protagonisti di Another World e Flashback. Il videogioco: è tutt’ora ammirevole la fluidità empirica cui il principino produce i movimenti del caso: lo si vedrà correre, rimanere appeso e dondolare sui cornicioni, perdere l’equilibrio sull’orlo di un precipizio, afferrare il bordo di una piattaforma dopo un poderoso salto da una altura, cadere e spiaccicarsi al suolo, oppure essere tagliuzzato da lame meccaniche o infilzato dalle trappole a pungiglione sparse un po’ ovunque. La occorsa immedesimazione alla avventura è allora il sintomo di questo character design ingegnoso come i meccanismi di sbloccaggio, gli scheletri che si ricompongono per sfidarci in singolar tenzone. Tenendo il pulsante premuto e applicando la direzione il nostro si muove furtivo, lento per passare attraverso gli spuntoni. Le piattaforme sono instabili. Succede che il pavimento ceda al peso e che si precipiti al piano inferiore, ove possibilmente vi è una qualche diavoleria a leva che blocca i cancelli e che quindi sbarra il passaggio al prossimo schermo.   

Il rigore della regia, della messa in scena, finisce per coinvolgere. Mechner ha il talento di mettere in opera una struttura dinamica e riflessiva al contempo, un arcade adventure anomalo che non concede punti di riferimento. La missione del gameplay vira sul bordo dell’interagibile, determina il puro arcade dei combattimenti all’arma bianca e di nuovo dispone i fondamenti del puzzle game levigato, nelle sezioni volgenti l’esplorazione. Si avvertirà il sudaticcio, sulle dita, quando si balzerà di piattaforma da zone soprelevate, con il solo vuoto a preservare da una morte atroce o a concedere la salvezza, estemporanea, per fare il prosieguo verso la scrittura di variazione, il dinamismo. Tutto è subordinato al tempismo: visto che per concludere e quindi salvare la nostra amata vien concessa una sola ora, l’odissea verrà consumandosi nell’ansia di non poter sbagliare, di dover affrontare presto una considerevole quantità di schermi per poi cogliere, alla fine, il motivo dell’interconnessione degli spazi. Questo è Prince of Persia. Anche nella traduzione Amiga. Che, grazie al cielo, tiene fede alla opera prima – ciò che non sarebbe accaduto con le successive edizioni console – nella replicazione essenziale dei colori e nella caratterizzazione del principe. Sebbene il dettaglio risulti sensibilmente potenziato in rapporto all’Apple II, i realizzatori esterni si sono scrupolosamente attenuti alla claustrofobia mechneriana, di fatto creando una versione suppletiva e non sostitutiva dell’originale. Gli effetti sonori, generalmente campionati, risultano assai verosimili – qui sì che si avverte il passaggio a tecnologie superiori – ma pur sempre innescati a una attenta lettura dell’ambiente per non pregiudicare il senso di chiuso e i labirinti. I sotterranei inestricabili.










  Piattaforma Amiga ECS / OCS
  Titolo Prince of Persia
  Versione UK
  Anno immissione 1990
  N. Giocatori 1
  Produttore Brøderbund / Domark
  Sviluppatore Brøderbund
  Designers Jordan Mechner, Dan Gorlin, Avril Harrison, James St. Louis, Leila Bronstein
  Compositori Francis Mechner, Tom Rettig
  Sito Web www.broderbund.com
  Sist. di controllo Digitale - Joystick
  Numero tasti 1
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Assente
  Formato Floppy Disk
  Numero supporti 1
  WHDLoad Sì [link]
  Genere Cinematic platformer
  Rarità
  Quotazione 50 - 70 €
  OST No

 

Dopo che ebbe siglato un contratto di esclusività con Brøderbund, Mechner diede seguito alla sua idea iniziale del videogioco raccordando sessioni filmate di familiari al salto a sequenze d’azione di cinema d’epoca (The Adventures of Robin Hood di Michael Curtiz). I lavori iniziano nel 1985, protraendosi per quattro anni su piattaforma Apple II. Nel 2011 Machner pubblica “The Making of Prince of Persia” su formati Kindle e cartaceo, dove vengono resi noti i retroscena circa la realizzazione dell’opera; di fatto, l’autore lavorerà unicamente su Apple II. I successivi adattamenti, quindi, verranno commissionati a gruppi di programmazione esterni. Le prime conversioni compaiono su Amiga e PC MS-Dos verso i primi mesi del ’90 risultando coerenti al programma originale. Su Amstrad CPC il videogioco conserva il suo stile anche con un paio di fotogrammi in meno. I trasferimenti per Atari ST e SAM Coupé, pur realizzati ad hoc, si attengono anch’essi scrupolosamente al level design dell’autore. In Giappone, invece, il gioco diventa giapponese: la revisione per PC-98 di Riverhillsoft – che sarà altresì di riferimento per i succedenti port X68000 ed FM Towns – realizza per cui estetiche e colorazioni di generale contrasto. Qui, ancora, Riverhill si preoccupa di inserirvi presentazioni animate di matrice manga. È la stessa software house a realizzare in seguito i port PC Engine CD e Mega-CD. Ma curiosamente, l’adattamento Mega Drive (cartuccia) non sarà derivazione da CD ma bensì una riscrittura attuata da Domark e pensata per le utenze occidentali sprovviste del lettore; invero, anche qui l’estetica del videogioco allontana la sobrietà degli albori. Arsys, fronte Super Famicom, fa anche peggio di Riverhillsoft: rivede struttura grafica e mappa originali, e ancora compromette il design del principe. Sulle console a 8 bit, e rispondenti portatili, è il fronte Virgin Games a prevalere su Domark. Quest’ultima aveva traslato per Master System e Game Gear con certa approssimazione, e furono dunque le scritture Nes (con adozione di un parziale effetto scrolling) e Game Boy a portare omaggio al classico. Il port Macintosh, che arriva nel ’92 su gestione diretta di Brøderbund, è notevole al punto da essere riutilizzato venti anni dopo per la versione iOS. Gli adattamenti Spectrum e Commodore 64 sono postumi. Il primo esce nel ’96 in Russia attraverso canali non ufficiali. Viene realizzato da tale Yaroslavl B. Roman Romanov ed è straordinario per il suo aggirare i limiti della macchina. Il secondo, realizzato da Andreas Varga e quindi immesso nel 2011 su cartuccia EasyFlash, è un “instant cult”. Nel 2007 Gameloft realizza Prince of Persia Classic in formato XBOX 360. Il titolo, che del videogioco vuol essere remake poligonale, non convince del tutto; le animazioni potevano essere più fluide e inoltre viene a mancare l’essenziale condizione di chiusura dei luoghi. Una versione PlayStation 3 è resa scaricabile nel corso del 2008.