La traduzione
in italiano del manuale fu opera di qualcuno che l’italiano non lo sapeva, e si
presume che costui ignorasse di trovarsi
al cospetto del videogioco destinato a realizzare nuovi e inesplorati traguardi grafici in ambito
Amiga. Pur già avendo al suo attivo titoli del calibro di
Full Contact e
Alien
Breed, è con Project-X che il Team17 diviene la più
popolare software house anglofona di inizio anni Novanta; d’improvviso Andreas Tadic, Rico Holmes, Allister Brimble e
Martyn Brown si ritrovano a essere al centro della scena videoludica
europea poiché di fatto danno vita a una corrente a sparatutto devota allo shoot
’em
up giapponese, che per cultura era rimasto distante dall’ambiente Amiga
come può esserlo Titano dal pianeta Terra. Il sistema
di armamento a selezione di Project-X è lo stesso di
Gradius – pur con varianti
marginali – e il gameplay riporta in auge il tema della power meter alla base
dello schermo. Ora sì, le navette procedono a venticinque fotogrammi e la
cognizione di fluidità è penalizzata dal derivante flicker, eppure
l’uccisore spaziale preserva assoluto il colore come a imprimervi una etichetta di fabbricazione
identificabile.
Team Seventeen estrae da Amiga del materiale
inedito, un qualcosa che sa armonizzarsi all’elegante tratteggio e quindi a una tecnica di
pitturazione che mira a produrre il solco. Ci si sposta a 50Hz in uno
schermo Pal in completo overscan; il blocco degli sprite muove parallelo al virtuoso chiaroscuro
differenziale e il memorabile disegno degli sfondi, sovente ripresi controluce, sorge a
contrasto con la zona attiva: nonostante la pressoché totale
assenza di scrolling parallattico – ma è presente in uno spettacolare livello bonus in
multistrato – risultano in Project-X ben distinguibili gli elementi
dello sfondo da quelli
predisposti a vicinanza grazie a tanta grazia di bidimensione, e neppure si fa caso al
tremore degli sprite, il cui dettaglio è generalmente estremo e sicuramente superiore agli standard
dettati, fino ad allora, dello shooter per sale giochi. Il
suono, affidato alle
sapienti mani di Allister Brimble, esalta già dal rave duro
dell’introduzione e si completa attraverso il campionamento vocale udibile
ingame.
Non venirmi quindi a dire, postumo e inadeguato, che Project-X era la malformazione della
tradizione Konami et similia, ché a malapena sai cos’è,
Gradius. Ché sei spazzatura. Sei
TGM Online. Qui si sta discorrendo di un videogioco che per quanto imperfetto
può apparire
si determina, negli anni della maturazione dell’Amiga, sotto forma di unica opzione
occidentale all’arcade di genere.
Non si dovrebbe
decontestualizzare il fenomeno Project-X. Non si dovrebbe parlarne senza
prima essersi muniti di una macchina del tempo: per quanto se ne scriva su e-zine per ritardati allo
sbaraglio talché si vorrebbe urlare agli autori un “ingiocabile sto cazzo”
proprio in riferimento al rimprovero più comunemente mosso alla opera del Team Seventeen,
si deve semplicemente attestare che quest’ultima è quanto accade allo scorritore nipponico quando viene
contaminato a livello subatomico sui tempi della estetica e in ordine agli schemi
macchinistici del power-up – in forza allo status sociale di
imperialisti seri col frac
alla Taito o alla Irem (qui anche ripresa nella fase della nave aliena, che menziona il
cult e rivendica nuovamente il cult) – e di acquisizione dell’item eletto a regolatore delle
fasi centrali, dove si concentra il ferrame più cattivo e si deve per forza mantenere le
armi in aggancio. Era così anche in Gradius,
al tempo in cui Konami si produceva a frastornare, bombardare il pilota di
Vic Viper coi proiettili da cecchino spaziale. Ma qui invero il commento
sonoro non poteva essere trionfalista. Al posto del soundtrack avviene
durante lo sparo uno stato di condensa, come di elettricità pioggia
elettrica, diapason a 440 Hz in quanto si è in Europa, una Europa del futuro
munita di svastiche e certo rigore poiché in questo luogo la fantascienza
funziona in questo modo a partire dalla Thalamus di Sanxion, di Delta. Di
Stavros. Project-X vuol appartenere al suo luogo. Il videogioco crea un
sottogenere di narrativa che sicuramente riflette una cultura e che
tuttavia, difronte alla carenza di materiale giapponese consumabile,
restituisce al settore un suo motivo di sintesi. La diversità di Project-X
rispetto a Gradius si rileva alla fine sull’esigenza di un confronto fra
queste due correnti dello shoot ’em up, ma anche in funzione di una
loro potenziale coesistenza. La storia, un giorno, dirà che Project-X fu tra
i più radicali sparatutto del ventesimo secolo.