Vedi
queste piattaforme sopraelevate e sai che esiste un modo per conquistarle. Sono
dei segnali. Puoi ignorarli, procedendo in orizzontale, o puoi decidere per
l’ispezione degli spazi, su alture da cui effettuare il salto nel buio,
e forse atterri su di una struttura-atollo che è il primo gradino verso la
scalata al bonus radicale. All’interno dello spettro del videogioco in
multiscorrimento Turrican eccede: usa il fascio elettrico,
libererai i blocchi invisibili. E se spari questi rilasciano nuove armi, rifornimenti
energetici e barrirere protettive temporanee. Ma quando vi balzi sopra vedi
che la
schermata va su a scoprire il percorso alternativo che porta verso l’alto chissà dove.
Procedi verso l’alto: ti verrà elargito un sacco di vite extra. Turrican è questo.
Un fulgido esempio di level design. La visione di una mente mirabile
che vuol giocare a fare dio e che vuol portare a nuova scrittura il
platform game della tradizione arcade attraverso l’innesto del seme
della grandezza. Lo spazio. La mappa. L’ascensione. Il precipizio.
Turrican descrive il mondo ultradimensionale del pixel, e si appresta a
rivoluzionare il videogioco.
In fase di traslazione da Commodore 64 Trenz
viene
coadiuvato da Factor 5, che si fa carico di rifinire le scenografie, e da
Chris Hülsbeck, che realizza la colonna sonora. Per cui il risultato non
poteva che definire questo Turrican elevato al cubo, e benché il concept
design non venga messo in discussione e per quanto la mappa non
subisca modifiche si rileva traslucente la definizione degli sprite, che
vengono in parte ridisegnati. Le nuove opzioni cromatiche esaltano i
dettagli del Turrican e non meno degli spaventevoli guardiani, per
riaffermare su sedici bit quest’idea oltremodo visionaria della
fantascienza, che è una specie di incubo in lamiera dove il nemico appresta
veloce, dove il pugno gigante comincia a schiacciare e gli alieni-insetto a
mordere. Tecnicamente si rasenta la perfezione. La solidità dello scrolling,
potente e fluido, e la stessa maestosità delle animazioni – straordinaria la
falcata del Turrican – mettono le basi del lirismo della sequenza cult, i lampi che illuminano le caverne del primo
quadro, il robot-prensile che urta le pareti del tunnel a far tremare lo
schermo, e incutere il terrore che scaturisce dal ferro. Hülsbeck, di suo,
insiste sugli elettroni delle super librerie del suono, e adduce sintesi che
sono l’orgasmo della modulazione in sedici bit, che poi è a otto bit, visto
il microchip custom. Eppure il soundtrack funziona al punto che si
vorrebbe che Hülsbeck riferisse sul come sia ad uso assemblare il sound
techno, tecnico della frontiera Amiga.
Si è naturalmente mantenuto il
confezionamento di lusso, con la sontuosa riproduzione in scala della mappa.
In aggiunta a questo, si è implementato il secondo pulsante per i joypad
compatibili, in modo di evitarsi di premere la barra spaziatrice. È Turrican.
Lui vive. Ri-vive. Ti muovi per queste immense aree e ottieni l’ampiezza multidirezionale a diramazioni che induce
l’esasperazione dell’esplorazione, e che
si redime con la furia dello sparo. Turrican esige che l’elemento del platform classico
e l’oggetto della distruzione dell’arcade di derivazione convivano in modo
speculare. Le armi sono
visivamente devastanti. Si determinano potenziabili su più livelli. Il
laser. Bisogna acquisirne uno, ché con lo sparo tripolare non si va gran che
avanti. Trenz fa in modo che l’avanzamento direzionale si risolva nel
procedimento di assunzione fotografica, trafficando con il giocatore in un do ut des nascondista
che deve traversare il gameplay in forma di compensazione tra numero di vite extra rilasciate e numero di vite perse nel tentativo di
tracciarle. Nel 1990 Turrican profetizza l’avvento di una nuova
bidimensionalità. La soluzione del procedere in avanti e del vedere quel
che accade cede il passo alla visione dello scandaglio, all’opportunità
della consumazione spaziale e non più dipartimentale, settoriale, tal che
non sia l’atto dell’attacco al mostro in sé a influire sull’azione ma
piuttosto il piegarsi all’immanenza delle geografie a creare azione, e come
il risultante di una specie di esperimento su cavia. Intanto Trenz osserva e
si guarda il nostro trasmutare in sfera, e si esalta del nostro arrancare in
ricerca del luogo, mentre si spara, mentre si perde l’ennesima, preziosa
vita extra: Turrican è l’esperienza in grado di scavare dentro
l’intrattenimento, di superare il ruolo stesso del gioco elettronico e
insinuare l’idea dell’opera resistente al trascorrere delle ere.