Si
è colonizzata l’estremità del cielo e
tuttavia quel che si è – e si è stati – continua a dirigere verso un sistema
bidimensionale assolutamente compiuto in cui un redivivo Manfred Trenz decanti
circa le scritture del videogioco a scorrimento plurimo come si fosse negli
anni ’90, e mentre adesso si appresta Metroid Prime e con esso
queste nuove adolescenze post-nintendare che sembrano non aver mai visto grazia
si conclude che l’evoluzione dell’interazione elettronica non è argomento per la
corrente umanità.
Si è
(si era) solo di passaggio nella esplorazione del pixel, eppure nessun altro
titolo potrà mai ricreare il mondo nella dimensione del pixel.
E si è trascurabili dinnanzi a contanto Chirs Hülsbeck, che il giorno in cui
realizza i suoni di Turrican II evidentemente guarda a una sua possibile
collocazione dominante rispetto alla materia oscura e a cose come gli anelli di
Saturno. Si dovrà tornare indietro in quanto è Trenz, assai prima di
Nintendo, a
determinare l’amplificazione del bitmap e a superare l’oggetto del
videogioco per matrici giovanili piuttosto nulle e impressionabili; quanto è vero iddio,
e Zeus ci è testimone, egli semplicemente introduce in un floppy disk da ottocento e
rotti kbytes la quintessenza del platform
game, dell’action game, dello shoot ’em up.
Turrican II è
videogioco che vede mostri di fine e metà livello mischiarsi a visioni meccanistiche di
colori intensi e di imperitura accelerazione; si vorrebbe subire la spaziosità di uno scenario che è una
specie di organismo a sé, pensante, chirurgicamente attaccato a queste prominenze
bioniche che poi sono il corrispettivo di una volontà latente. Di un’entità
che guarda. Se in Turrican si fissava un macrocosmo
senza reali confini, sterminato come un pianeta alieno deve essere e come il nuovo mondo
del videogioco doveva essere, nei pioneristi anni Novanta, in Turrican II la
preesistente immensità assume il suo significato ultimo traversando quadri e
squadre di extra superfici color arancione, color tramonti ultraterrestri a
due soli e quattro lune, col blu che diventa più cupo, più rosso e se
allora, in Turrican, lo sfondo scarica tempeste di fulmini, in Turrican II
si fa largo uso del parallasse in copper a restituzione delle sequenza di
invasione delle membrane oculari. Turrican II vede il mondo di Turrican
conseguire prospettive di visuali nuove che comunque a vista non risultino
essere di riscrittura, da che Trenz sembra concentrarsi sull’allontanamento
dell’orizzonte e sulla rivoluzione dell’esplorazione. Lui vuole alienarsi
l’azione, riconsiderare la necessità di adottare un metro che sia angolare
sull’arcade da sala giochi in merito al discorso della programmazione, e
quantomeno affermare un nuovo arcade per home computer capace di durare più
del marmo con previa installazione di un supporto vitale
alternativo funzionante a idrocarburi.
Trenz uccide il
platform game di tradizione. Si può dire che il codice in bitmap venga di
fatto concepito sull’orizzonte dell’ipercromo e attraverso un meccanismo di sovradimensione effettiva del multi-quadro, per cui in Turrican II il
tracciato si dispiega nelle zone più tortuose e si vuole ridimensionare e
disgregare gli oggetti sorgenti perché questi siano congeniti alla
dimensione dello spazio oltreché accoliti del circostante gameplay; la
chirurgia geografica a uso del Turrican chiede che la consumazione
intervenga sul singolo atollo virtuale per ricavarvi una profondità di
consecutio e nondimeno una struttura che rapidamente si presti a una
posizione di grandezza. L’estensione diventa dinamismo. Viene a determinarsi
in Turrican II la necessità di tramutarsi in sfera e insinuarsi nelle
insenature inaccessibili così da scoperchiare tutto un mondo sotterraneo
nascosto, privo di vernici eppure vivente entro lo spettro degli scenari di
cripta, di pipistrelli bionici e ferri che si avvinghiano alle carni. Ci
annulleremo allorquando perduti negli abissi oltre i pianeti. Solcheremo
l’esaltazione risolta l’oscurità degli scavi millenari e infine avremo
timore di Zeus nel momento in cui, allo stremo delle forze, realizzeremo di
dovere proseguire ancora poiché la meta è ancora distante dieci,
cinquantasette quadri. Turrican II, con i suoi orizzonti inarrivabili, i
suoi universi cattivi, i suoi robot-macchina dal design malatissimo troverà
il modo di allestire una sessione sparatutto degna del Thunderforce migliore
solo per cavarci fuori le parole del trionfo, quelle che si usano in luogo
di overboost e che dicono che se il primo Turrican ha scritto la storia, allora Turrican II deve
per forza essere il più grande videogioco della storia.