R-TYPE di @Luca
Abiusi
È abitudine
di riferirsi a
R-Type un po’ sempre quando viene tirato in mezzo lo shooter
giapponese orizzontale ad armamento indipendente dove sull’estremità di capsule
R-9 sia applicato un pod magnetico capace di assorbire i colpi avversari e
all’occorrenza di sganciarsi, per attaccare in fase diretta i nemici e mandare a
frantoio le stazioni dei missili intelligenti.
Graficamente è allavanguardia, per i tempi, R-Type; propone effetti
bidimensionali di spessore oltre che un gameplay malsano che definiremmo
livido, che
può essere
cattivo solo in superficie e che esplicita il suo meglio durante gli stadi
dell'agganciamento, l'ingegnoso metodo di iperpotenziamento della nave stellare. Il
virtuosismo grafico è del design dei mostri. Dettagliati e
impressionanti all’atto dell’animazione, questi organismi risultano grafici, determinano la fantascienza innovativa
della Irem: un cuore gigante espelle serpenti dai ventricoli, un clone gigante di
Alien scuote la coda come una frusta, un incrociatore gigante si trasforma in
un livello
semovente sparando razzi da ogni pertugio.
La guerra interstellare che R-Type
riproduce
a video intende rivendicare i canoni dello sparatutto bidimensionale di quel periodo,
e pure
senza cadere in una diretta azione derivativa, il graduale citazionismo grafico verso
Nemesis
o lo stesso Delta è palese. Ora, che il
Delta di Stavros Fasoulas non avesse in
effetti alcun pod rotante, essendo la nave stessa a ruotare, e che la
fantascienza del Gradius si distanziasse abbastanza
da un videogioco come R-Type è fuori
di ogni dubbio. Tuttavia la opera Irem sa come e dove attingere, in piccole dosi, muovendosi
in contemplazione, ostentando continue le incursioni sul level design
laterale di matrice Konami, e usando per cui lo shooter
nipponico come metafora di una controcultura social-belligerante che
rigurgita la frustrazione del post-Quarantacinque sulla letteratura di
stretto genere spaziale. Nello stesso anno la nuova console Nec, il PC
Engine, avrebbe portato tale concetto fuori delle sale giochi, e quindi
dentro una card poco più spessa di una American Express.
Lo sparante iremiano chiede di
conseguire l’impresa ancora che i meccanismi, i dinamismi, i
presupposti dello spostamento e le resistenze nemiche realizzino questo
concentrato progressivo di nazifascismo schematico e sistemico di
tipo imperialista, dove il proemio
di videogioco arcade anni ’80 ricade nella ridondanza della visione
accademica. Ma nonostante che è ruvido, e per
quanto apparentemente scolastico lo shooter vuole reclamare quadro su quadro una sua
dignità infrastrutturale in richiamo al supervideogioco di settore per
affermazione, definizione
delle dinamiche fondamentali dell’upgrade; la rivoluzione
satellitare del marchingegno anteriore è quello che la fervente stirpe dei
videogiocatori hardcore
chiedeva da quando che nel ’78 si era giocata la retta universitaria dei
futuri figli su Space Invaders. Che le barriere le teneva anche, solo che
rimanevano lì fisse. E si sgretolavano presto. Ci si esprime in favore di un
tipo di gameplay potenzialmente assoluto, e che pure dentro al rigido microcosmo
dei videogiochi fatti apposta per gli otaku concede facoltà di scoprire le vie di
traversamento, alle zone più aspre di un qualche livello, del sesto livello,
e nel puro esercizio di aggiramento del pattern; assai difficile in situazione
di scarsezza di arsenali, poiché se si perdono i pod e le armi aggiuntive si può anche dire
addio alla baracca volante, R-Type uccide. Vi è da dire che in accordo con l’adattamento PlayStation
postumo (R-Types)
verrà introdotto un sistema di salvataggio della posizione proprio per
facilitare l’esistenza dei manovranti più in erba.
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