R-TYPE LEO di @Luca
Abiusi
Cadremo sparando, non si può
certo rifuggire il destino eppure alla resa dei conti e benché inermi si
guarderà a quando vi erano gli R-Type. I primi tre della sala giochi
sopratutto, ancorché Leo sia l’episodio parallelo di acclamazione minore.
Tuttavia Leo è un R-Type assolutamente serio. Arriva nel ’92 portatore della
luce e di spazi blu-atmosfera a riscrivere i parametri degli episodi
precedenti, e se guardi il videogioco muoversi non sembra realisticamente un
R-Type. Leo è il vero R-Type degli anni ’90. Neppure il Delta può esserlo
veramente, a vedere, essendo più rapportabile alle idee cromatiche di
Playstation che alle figure estrose degli sparatori dei primi anni, tutti in
qualche modo discendenti di Raiden II, verticali o laterali che
fossero. I primi anni reclamavano il colore. Lo sfondo nero non era più
contemplabile. Si doveva rispettare uno standard visuale modernista e
futurista. Si doveva pitturare e rendere i fasci viola, i toni verdi di un
verde criptonite per usare al meglio le schede Motorola e animare quanti più
sprite si potesse poiché ormai anche le console iniziavano a concorrere con
gli arcade grazie ai Gaiares, ai Thunderforce, agli Star Soldier.
Tempo addietro si raccontò di tale armata interstellare
chiamata Bydo, e di come l’umanità riuscì a porvi argine con gli R-Type
e infine a prevalere. Ma l’orda barbarica è tornata, e vuole sterminare.
Quindi R-Type
Leo, positivo e pitturato, rende omaggio al classicismo Irem a mezzo di massicce dosi
di grafica potenziata, di velocità potenziata. L’afflusso nemico raddoppia.
Il fuoco amico raddoppia. Si dovrà allestire il co-op e riempire ancora
gli schermi per determinare la visione delle linee al laser che si
sovrappongono al quadro della palude siderale, multiplayfield, piante coi
tentacoli, origami mutanti a sette zampe, a otto zampe, insetti mezzo
insetto mezzo robot. L’esplosione della tecnica. L’intrusione della
profondità. Gli spazi di R-Type Leo conferiscono la distanza, fanno in modo
che le navi spaziali traversino Giove sullo stormo degli asteroidi, nel
baleno di proiezioni di raggi solari che arrivano di riflesso da un atollo
in piano sequenza. Il suono smette di essere chimico. Vuole essere
sinfonico. Ha luogo una scrittura di evocazione e di amplificazione delle
sintesi. Si ottiene la simmetria con le vernici, e traspare una forma di
catarsi techno, un commento di melodie che desiderano ascendere nel
contrappunto. Si avverte il plancton. Si è collegati. Dove sono le cuffie.
Chi ha preso le cuffie. Tirate fuori le cuffie. Gameplay anni ’90. Lo
stereotipo del terrore che viene dal profondo si decostruisce finché alla saga
sia reso lo scarto di zavorra, dopoché i primi due capitoli avevano
piegati i Nostri istinti e con essi la volontà di sopravvivere; con R-Type Leo la
guidabilità del mezzo
diventa una scienza esatta e il divertimento un lusso esteso alle masse. Sembra
inconcepibile, ma il grado di ostilità è meno ostile. Si può vincere.
Differente, codesto R-Type. Tre livelli di upgrade e fin
qui si sapeva, ma poi si realizza che il beam è pensato a scarico del supporto
satellitare e che si riempie in autonomia. Sicché agendo sul tasto deputato i due pod di
supporto si sganciano in azione di ripulitura dello schermo, cagionando quindi lo
svuotamento immediato della power gauge, la quale si ripristina in fase di
riaccosto. L’arma più potente sembra derivare dal power-up rosso (attenzione: l’attrezzo
sarebbe stato riutilizzato in
R-Type Delta), questo fascio orizzontale a
persistenza di esteso potenziale, ma pur si consideri i rimanenti due colori
in fase di agglomerazione e accerchiamento (verde e blu), che
rispettivamente montano un assetto triforme ad apertura laterale e un laser
pluridirezionale a rimbalzo (sì, lo stesso dei primi due R-Type). I
satelliti, che producono due tracce di sparo ulteriori, seguono la direzione
della nave sul principio del moto inverso. Sarà altresì possibile acquisire
un set di missili di supporto, che completano l’upgrade apportando un
costante riparo verticale: superata la decadenza degli anni Ottanta, i
realizzatori decidono per una struttura di gioco che assecondi l’evoluzione
degli armamenti, che evidentemente sia più flessibile sulla questione
dell’assorbimento del pattern e che miri costante a compensare gli assetti
di fuoco con la quantità di nemici avvistabili su schermo. Si è quindi
persuasi di aver consumato un titolo di grande interazione, ma anche di
linee parallattiche spettacolose, di luminosità accecanti, di agglomerati di
oggetti a forma di meteorite.
|
|