Ah
beh certo, i “simulatori di guida”. Con le tonnellate di opzioni, il parco auto
sconfinato, le grafiche fotorealistiche. Con il modello di guida, le traiettorie
corrette da seguire: «Sai poi mi sono studiato questo manuale
di meccanica e aerodinamica applicate per essere più performante». A farsi
abbindolare dalla “simulazione” sono di solito i forzati del videogioco,
quelli che prendono sul serio l’industria, l’importanza del medium come
arte, il “realismo”, le trame profonde che emozionano «ma che vada tutto a
1080x60fps per dio!». Questi energumeni evidentemente non hanno ben chiaro
il concetto di intrattenimento, d’altronde sono gli stessi che sbavano
davanti a robottoni a caso e se la spassano con i film della Marvel, come
puoi mai spiegar loro che il divertimento, l’esaltazione, sta nelle cose
semplici, negli anni ’80, una schermata senza scrolling, Tre volanti che girano
all’infinito. Super Sprint.
E dunque, abbiamo quattro macchinine viste dall’alto, la gialla la rossa
e la blu le guidi tu e i tuoi amichetti, la verde è sempre della cpu, e poi
otto piste, che occupano per intero la schermata di gioco e che dovrete
percorrere e ripercorrere fino alla nausea per un totale di 85 gare, durante
le quali gli avversari non umani diverranno sempre più forti e desiderosi di
sconfiggervi «Oh sì certo me lo ricordo questo giochino, era carino, ma è
passato un secolo, il mondo si è evoluto, mi annoio...». Sì come no. Scimmia.
Metti le mani sullo sterzo, il piede sull’acceleratore, fai due giri e poi
piangi di fronte al gameplay assoluto dell’eterno vorticare del
volante-spinner, il brivido di mollare il pedale solo un istante, per poi
intraprendere le curve a tavoletta con quel tondo di plastica che frulla a
gran velocità, dando all’auto il sostegno laterale in derapage, in attesa di
essere fermato nell’istante esatto per far schizzare in rettilineo il mezzo
a mezzo pixel dalla barriera. Addirittura, nei curvoni rotanti a 8, è
possibile protrarre ad libitum la rotazione, modulando il drifting con
l’acceleratore in modo da far ripercorrere il tondo alla macchinetta più e
più volte, magari per raccogliere una chiave-potenziamento persa alla prima
tornata, più probabilmente per bullarsi con vicini e astanti: è proprio
l’oliata manovrabilità che induce ad indulgere in tali smargiassate, ma si
dovrà stare accorti in fase di sorpasso ed evitare macchie d’olio e
tornadini, oltre che gli avversari, ché ogni contatto può far perdere il
controllo dell’automobilina, la quale a seguito d’impatti violenti può
financo esplodere, per cui si perderanno parecchi secondi in attesa che
l’elicotterino ci consegni un mezzo di scorta. Sarà altresì cosa buona e
giusta raccogliere le suddette chiavi da spendere per migliorare
accelerazione, velocità e trazione fra una gara e l’altra, cosa
assolutamente necessaria se si vuol sopravvivere per più di poche gare.
C’era sempre un mucchio di gente intorno a quell’imponente cabinato a tre
volanti. L’esperienza multigiocatore era una folle giostra in balìa
dell’indole e dell’abilità dei partecipanti: si poteva collaborare con
amore, spartendosi equamente le chiavi e, dacché l’ordine d’arrivo è deciso
al momento in cui chi è in testa taglia il traguardo, aspettare che un
inseguitore riuscisse a superare la macchinina verde scongiurando così il
game over; ma sovente il bullo saliva in cattedra senza aspettare nessuno e
rubando tutti i potenziamenti, al che non era inusuale vedere un giocatore
in posizione ormai compromessa fare inversione a U, attraversando il
circuito a rovescio per speronare l’odioso capofila.
«È tutto molto tenero, ma è sempre un giochino. Nello stesso anno c’era
OutRun che sembrava fantascienza...». Zitta tu, scimmia. È ovvio, il titolo
Sega È fantascienza, ma quel che non comprendi è che Super Sprint
rappresenta piuttosto il coronamento tecnico e formale di una tradizione,
quella del racing top-down a schermata fissa, inventata e codificata da
Atari nella preistoria degli anni ’70, e che avrebbe detto la sua ancora per
qualche anno prima dell’inevitabile declino: titoli quali Badlands di Atari
stessa o Super Off Road, di un certo spessore ma dalla giocabilità un pelo
meno rifinita, erano ancora alquanto gettonati nelle sale dei primi ’90; e se
poi nel 2009 Konami se ne vien fuori con un Driift Mania che riprende in
copia carbone il multidelirio di Super Sprint, significa che lo spirito del
genere non teme oblio, e può ancor regalar gioie agli affezionati giovinetti
di tutto il mondo.