Violentissimo
accade l’uragano del proiettile, almeno finché lo spazio continuerà a essere. Il
tempo a scorrere. Il gigante a Noi innato avviene nel giorno della guerra e
della trasformazione del tempo, il Medioevo che diventa un futuro abitante qui
il desiderio di recare l’episodio di equilibrio tra la vita e la morte; l’aereo
sta in mezzo e vuole vivere. Malgrado gli stormi. Nonostante che adesso questi
avversino formidabili anche il pixel rimasto salvo alle ceneri di precedenti
frullati di fuoco mistico orizzontale, verticale. Akai
Katana Shin arriva dritto a stanziare la scuola del nuovo manic
shooter della Cave. Convertire sarebbe stato da esordienti. Invece loro
consegnano oltre il porting un ripensamento del coin-op che ne sia
risoluzione delle tecniche del punteggio e assoluzione delle vie di
scomponimento tra mezzo e anima, un director’s cut che in avviso di
quanto preso rispetto alle idee danmaku più oppressive vuole spiegare
il sentiero del videogioco assoluto, e pur rispettando ancora i vincoli che
in atto settario il genere usa rapportare a legge. Akai Katana, come la sua
estensione, è un lancio senza paracadute. Ma che serve di provare con tutto
lo schianto e poi lo squarcio del monitor e il sacco di metalli e katana,
coi proiettili che si trasformano in monete d’oro, l’irreversibile caos cui
si deve ubbidire per cercare di capire dove Cave vuole andare a parare, e
forse non lo sa manco lei. Eppure il rigore della struttura di compensazione
tra accumulo e macerie, tra formazione aerea e fantasma, può invero
comportare una stagione di ripensamento dello shoot ’em up maniacale.
Di là di una possibile attenuazione
preventiva della massa a mezzo tasto x, gli autori definiscono due linee di
uccisione a schermi; al che, se Akai Katana vuole il contestuale esercizio
di caricamento sulla scorta della trasmutazione, in fascio continuo
riscattato da cerchi fluttuanti di preziosi in seguito assumibili come
premio di moltiplicazione al rilascio, e quindi al ritorno a forme aeree,
Akai Katana Shin riscuote l’avanzo in materia spirituale dal modello arcade
trattenuta disponendone atolli sul bordo di fantasma, salvo prima avere
ecquisite monete utili al bisogno, nonché posteriori dobloni verde acqua
opportuni al riempimento dell’energia di muta. Videogioco di affinata
turnazione, Shin sposta il deterrente del punteggio sul passaporto della
scienza. Allora ci si dimentica di scansare quando si realizza che i
proiettili non vanno evitati ma bensì provocati, e lì dove il marasma
aggrava tanto più si dovrà agire di rastrello in manovra di cancellazione, a
lanciare l’acquistato spirito della katana contro i bastioni e vedere come
questi si sfaldano, restituendo al nostro i sacchi dell’oro, gli stessi che,
pure in forma di agglomerazione, dovranno ritornare all’aeromezzo
nell’interscambio, proprio mentre l’energia di fantasma è morente e se ne
avvisa il margine di suzione che poi a fiotti ingrasserà il bimotore. Un
miliardo di punti. Due miliardi di punti. E che è. Entrati nel sistema, se
ne diviene dipendenti.
Akai Katana Shin, che per stilemi riconduce
agli universi di Miyazaki, e quindi a
Progear
no Arashi, è conversione attinente gli elevati standard produttivi
della Cave. In modalità Origin l’aspect ratio in 4:3 del coin-op è
conservato e apparentemente non risultano esservi significative
modificazioni sulla velocità, nè sui rallentamenti di tragitto. Il
rifacimento in 16:9 convince anche privo di arricchimento visuale, ma si può
altresì dire che non vi fosse urgenza di intaccare la fibra del colore di
bidimensione importante, il dettaglio considerevole ancorché non proprio in
alta definizione su cui il quadro si aggiorna e defluisce in zona guardiano,
dove il character design del guerriero giapponese diventa
l’animazione in full frame per la quale manipolarsi pesantemente tra un
episodio di Top o Nerae! e una sessione di modellismo Bandai tipo La
Malinconia di Haruhi Suzumiya.
Umemoto, ammirevole già sui luoghi di Ketsui: Kizuna Jigoku Tachi,
immette il suono di indagine del Giappone popolare, ma non manca di contaminarsi
di occidente elettronico, dopo Sakamoto. Scabbard Knob (terzo livello, l’astante
dovrebbe invero ascoltarsi il remix in FM avvistabile nell’Arrange Album), chitarre e
riff rinascimentale, senso di rinvenimento dalla terra, scuote i neuroni.
Anemone (sequenza finale, pelle d’oca) è possibilmente il suo testamento,
ché il musicista sarebbe venuto a mancare a 37 anni, appena dopo il lancio
dell’edizione tre e sessanta presa a riferimento. Akai Katana Shin sa
guardare attraverso il manic shooter. Il videogioco evita infine di
sconfessarne la dottrina grazie alla preponderante quantità di strisce blu e
viola che si muovono, alle navi da combattimento che si schiantano, ai carri
armati che si armano, ma di fatto dà avvio a una versione meno centralista
del danmaku tradizionale, quello ruvido, quello con la svastica.