In
Giappone, sul finire del primo decennio del Duemila, Cave Company è in grado di
produrre una non trascurabile quantità di conversioni formato next generation.
E anche G.Rev s’era messa a uccidere
su risoluzioni da mille e qualcosa per settecentoventi sul
trecentosessanta, la console attraverso cui si sarebbe generato il fastoso ciclo
delle edizioni limitate per oggetti
ruvidi come
Ketsui, Mushihime-sama
Futari 1.5, Espgaluda II Black Label,
Senko no Ronde Duo; Deathsmiles
sarebbe atterrato anche in Europa e Nord America coi cargo
trasportatori di Aksys/Rising Star, e tuttavia Noi abbiamo il trecentosessanta giapponese.
Per cui Giappone. In limited edition naturalmente, ché ci hanno messo la
colonna sonora per dentro, che è pure colma di brillantante per lavastoviglie,
sofisticata e un po’ castlevanista, ma di un Castlevania più orientato verso il
distorsore j-pop, il modernismo. Bello. Un videogioco tipo questo lo si era
immaginato appena dopo mezzanotte, pensando agli
antri inesplorati di Cotton Boomerang, del
quale Deathsmiles è lettura horror a base di streghe preadolescenti strizzanti
alle parafilie
otaku di Tsutomu Miyazaki.
Il sistema di sparo bidirezionale di Deathsmiles
è
insolito, per un manic shooter. Ma in effetti lo sparatore si definisce atipico
per il genere, diverso pure dallo scorrimento orizzontale di
Progear, a suo tempo
decantato per ottima cattiveria e accumulazione. Si utilizzano tre tasti e con questi si
determina uno scoring system che ha ingerenza diretta sulle cadenze di attacco
in bidirezione. “A” e “B” a puntare a sinistra o a destra in comodità
ed entrambi, premuti assieme, per attivare un sistema di lock-on che però decrementa il
picco di accumulo a 1000, che quando raggiunto scatena il fascio potente da preservare per
i momenti di peggiore confusione. Da clichè Cave, gli oggetti da accumulare si
ottengono col metodo del “pulsante premuto” e del “core” (in questo
caso la streghetta) rallentato, per passare a un millimetro dai proiettili e apprestarsi
quanto possibile ai mostri abbattuti, visto che gli items premio – corone e
teschi – si risucchiano unicamente in vicinanza. Col contatore fisso sul 1000 i nemici che
in precedenza non rilasciavano items cominciano a elargire corone arancioni a
pacchi, così da incrementare di 10 il moltiplicatore e dare eventualmente il via al fever
mode premendo A+B fino a solcare i 10.000 sul base multiplier. Durante il
gameplay l’esecuzione delle pratiche di accumulazione diventa essenziale anche rimanendo
sul livello uno di difficoltà, applicabile a preludio di ogni quadro. Appagante.
Oltre alle modalità Arcade e XBOX 360 – quest’ultima
adattata ai display in alta definizione – Deathsmiles offre un eccentrico 1.1 Mode. Che
alla luce di quanto visto è una versione alternativa all’arcade pensata per il joypad a
doppio stick del tre e sessanta. Dunque con la levetta di sinistra si continua a manovrare
la strega e con quella di destra si ottiene il pieno controllo del folletto di supporto
–
indipendente nelle precedenti modalità – in funzione dell’incremento dei nemici a video.
Una riuscita revisione della struttura di gioco originale, si direbbe, ma anche una
rielaborazione in chiave “umana” del gameplay, adesso semplificato nel
direzionamento – RT ed LT per il laser di destra e sinistra e niente sparo a pressione
intermittente – e di conseguenza nella meccanica moltiplicatrice. Con 1200 Microsoft
Points ci si porta a casa il Mega Black Label Mode – piuttosto simile al Mega Black Label
di Mushihime-sama Futari 1.5 – nonchè Sakura, un quinto personaggio armato fino
ai denti. Soddisfazione, si. Deathsmiles è sicuramente tra i progetti più interessanti
dell’ultima Cave pur malgrado la mancanza congenita di scritture originali
(ma non di idee) e il riproponimento dello stereotipo delle ragazzine
giapponesi coi vestitini da cosplayer, delizia del maniaco. Ma il dispendio
c’è, e si vede. Deathsmiles è una promessa d’amore verso l’estetica, un
mirabile esercizio di character design in punta di china come anche
un’imperdibile lezione di tecniche grafiche bidimensionali avanzate. La tradizione Cave si
fa sentire nell’utilizzo del microscopio, nell’intarsiare i più invisibili pixel dello
sfondo e nell’animare creature spettrali trabordanti dettaglio. Grande sonoro, poi. Grandi
musiche da ascolto misto-classiche e contaminate, maliziose e ammalianti
quanto le donnine
protagoniste.