Ricordare
la softeca amighista è esercizio imprudente. Spesso il rischio di essere
travolti dalla forza dei ricordi diventa pericolosamente concreto e, quando
questo accade, si è come catapultati indietro nel tempo, quando, più giovani ed
inesperti, ci si baloccava con giochi di cui non si riusciva a percepire
l’esatto valore. Joan of Arc è un diamante grezzo,
un piccolo tesoro nascosto, un gioco strepitoso, potenzialmente capace di oscurare tutte
le produzioni strategy-oriented su Amiga, rovinato dalla scellerata scelta di
supportare come unico mezzo per comandare le nostre truppe il mouse, invece di utilizzare
una combo joystick-topastro. Viene da piangere pensando a Joan of Arc, uno dei migliori
titoli in assoluto nella vastissima ludoteca amighista. Chip Software (responsabile di
altri titoli tutto sommato interessanti come Pharaoh e
Aquanaut)
sbalordisce il mondo offrendo, nel 1989, un gioco che fa tremare le gambe ai cultori di un
certo
Defender of the Crown.
Le immagini che appaiono sulle riviste specializzate del
tempo mostrano una grafica sbalorditiva, fondali digitalizzati su cui si muovono sprite
dettagliatissimi ed animati divinamente. La profondità del gioco è immensa: non si
tratta semplicemente di liberare pulzelle indifese o combattere battaglie decise dai meri
numeri, nossignore. In Joan of Arc bisogna scegliere la tattica giusta, muovere le truppe
sul campo, decidere se utilizzare più fanti o più arcieri, se puntare sulla cavalleria o
sull’armamento pesante. La gestione delle province conquistate dà più di un grattacapo:
le popolazioni si ribellano perché le nostre tasse sono troppo pesanti? Scoppia una
rivolta, che possiamo reprimere nel sangue o lasciar sfogare senza conseguenze, magari
abbassando i dazi richiesti. Per la prima volta, ben prima di
Civilization, la
politica estera ha un’importanza fondamentale: possiamo infatti barattare la vita dei
generali nemici catturati durante le battaglie, con denaro o la vita dei nostri
compatrioti messi al gabbio, decidiamo incursioni nel territorio nemico, giustiziamo, dopo
un’attenta fase istruttoria, i nostri malfidati consiglieri, rei di passare preziose
informazioni al nemico. Pestilenze, raccolti andati a male, problemi sul territorio,
difficoltà a reclutare le truppe, tutto questo è Joan of Arc.
Purtroppo però la scelta di Chip, la software house
responsabile del gioco, di supportare esclusivamente il mouse si rivela davvero
improvvida. Il perno del gioco infatti, al di là della gestione strategica sopra
descritta, è rappresentato da sequenze arcade di difesa (del nostro castello dagli
attacchi nemici) e offesa (durante la quale guidiamo le nostre truppe in una sezione molto
più vicina al genere slash ’em up): in queste occasioni, di fondamentale
importanza, visto che il progresso nel gioco dipende dalla loro riuscita, il mouse si
rivela troppo impreciso. Accade spesso di trovarci a bestemmiare in tutte le lingue
conosciute perché il nostro uomo, pur avendo campo libero, non si decide ad avanzare, col
risultato di venire soverchiati dai nemici, oppure, stando in difesa, non si
posiziona correttamente sulla torre per lanciare pietre od olio bollente contro i nemici
in fase d’assedio, facendoci perdere il possesso della fortezza contro il nostro volere e,
soprattutto, la nostra abilità. Per farla breve, Joan of Arc è uno dei giochi più
frustranti della storia del videogioco e questa immane difficoltà non voluta (perché in
realtà il gioco sarebbe solo “normalmente” ostico) lo rende adatto solo a
monaci zen al più alto grado di imperturbabilità. Nonostante questo è impossibile
stroncare il titolo Chip e anzi un recupero è oggi assolutamente doveroso, magari tramite
emulazione, per sfruttare i mouse odierni, più sofisticati e precisi di quelli di un
tempo. Perché, controllo a parte, Joan of Arc davvero non ha difetti.