S.D.I. – Strategic Defence Initiative – di @Andrea
Chirichelli
Nel
maggio 1987 Zzap! (la versione
italiana, Wizball in copertina) pubblicò uno speciale sull’avvento dei primi
titoli Cinemaware pubblicati per l’allora non troppo conosciuto Amiga. Chi vi scrive
considera quello speciale un momento storico nella vita del giocatore militante. Per la
prima volta gli occhi di decine di migliaia di appassionati si posavano all’unisono sui
giochi e sul computer che, diciamolo senza mezze misure, ha cambiato radicalmente il
settore dei videogiochi, e che ancora oggi rappresenta il più grande passo avanti
tecnologico mai compiuto da una generazione di macchine all’altra. Abituati come eravamo
alla monocromia degli 8 bit, osservare la luminescenza delle schermate delle future
meraviglie tecnologiche ci riempiva l’animo di entusiasmo. Cinemaware sarebbe stata tra
quelle software house che, radicalmente, avrebbero condizionato il futuro
dell’intrattenimento elettronico attraverso una concezione ludica che era figlia di idee
ingegnose e rivoluzionarie.
Tutto questo per introdurre e parlare di S.D.I. (da non confondere con
l’omonimo arcade di Sega), uno dei tre titoli, assieme a
Defender of the Crown e
Sinbad
che lanciarono nell’immaginario collettivo il brand Cinemaware, che ancor oggi può
annoverare un cospicuo numero di appassionati. Se si parla di cinema non si può non
parlare di fantascienza, il genere più lontano dalla realtà di tutti i giorni, ma spesso
anche l’unico che, paradossalmente, permetta di capire veramente i valori che condividiamo
quotidianamente. A guerra fredda finita, dei terroristi rubano delle testate nucleari e
minacciano di utilizzarle. La spada di Damocle è sguainata e noi, assieme ad una formosa
scienziata russa, siamo gli unici a poter salvare il mondo. Plot scontato e banale? Forse,
ma la realizzazione tecnica e ludica annientavano ogni capacità critica del giocatore che
si trovava di fronte non solo a schermate statiche di altissima qualità e ai primi
movimenti poligonali che la storia di Amiga ricordi, ma soprattutto a una serie di
sequenze arcade che mettevano il giocatore ai comandi di una avveniristica nave spaziale
dalla quale si poteva salpare per raggiungere gigantesche stazioni orbitanti, in puro
stile Elite.
La giocabilità si attestava subito ad alti livelli e le fasi sparatutto facevano
intravedere il talento che poi i programmatori americani avrebbero messo a frutto negli
anni successivi in titoli come
Rocket Ranger e
Wings. Tuttavia, già ai recensori del
tempo, non sfuggirono i difetti congeniti che uno schema di gioco tutto sommato elementare
poteva comportare. S.D.I. era stato concepito più per stupire che per
produrre una interazione videoludica duratura, difetto accomunabile a molti dei titoli
usciti nel periodo di transizione tra gli 8 e i 16 bit. Ma vi è anche da aggiungere che,
grazie alla complessità del tema trattato e a una interfaccia di gioco assolutamente
fruibile il tutto risultasse appagante, sebbene in modo meccanicamente aleatorio. Per
mezzo di un confezionamento congenitamente appetibile S.D.I., nel bene della sua fulgida
iconografia e nel male di una costruzione a tratti incompiuta, ti prendeva invogliandoti a
proseguire l’avventura per scoprirne l’evolversi e carpirne gli effetti. Sicché,
appesantito da una certa ripetitività di fondo il titolo Cinemaware colpì più per
l’aspetto estetico che per la longevità o la profondità ludica che era in grado di
offrire, seppure con la intrinseca innovazione dei suoi propositi. Nella spocchia della
nuova critica videoludica oggi sarebbe bollato come tech-demo, ma allora vedere il globo
terrestre spuntare azzurro e luminoso, perso negli spazi siderali e introdotto da un
satellite geostazionario, era una emozione indimenticabile. E forse lo è ancora oggi.
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