DEFENDER OF THE CROWN
di @Luca Abiusi

Copia di DefenderOfTheCrown2.jpg (168883 bytes)Tanto tempo fa, quando Commodore Amiga muoveva i suoi primi passi verso la storia e quando i titoli gestionali erano dei mattoni a input di testo, la Cinemaware creò il videogioco destinato ad assumere lo status di riferimento degli strategici di guerra. Si trattava di Defender of the Crown. Lo si doveva far girare su di un costoso Amiga 1000 espanso poiché il 500 – coi suoi 512K di serie – non c’era ancora, eppure quella era la miglior grafica che in detto periodo un home computer potesse concepire. Su Microcomputer, nota rivista dedicata, si elogiava questa nuova frontiera del disegno realistico: l’interesse verso i videogiochi tramutava in giornalismo, e ci si dirigeva verso il futuro in modifica di ciò che prima di allora era stato l’intrattenimento del nerd. Un passatempo di livello inferiore. Attraverso l’unica scena dell’assedio al castello si compiva il balzo in avanti, poderoso, di questa nuova industria capace di rinascere dalle ceneri del mercato delle console americane.

Si è cavalieri senza macchia del XII secolo, a combattere la guerra di fianco a Robin Hood contro i nemici del regno, i dissidenti che con Re Riccardo che è partito per le crociate bramano la conquista della corona; la rivalità tra Sassoni e Normanni culmina in campagne feroci che si protraggono per decenni feudo a feudo e a fil di spada, nel periodo appena antecedente al bagno di sangue della Guerra delle due rose, e tutto è uno scalpitare, un duellare, un tessere trame. Veniamo introdotti a un tipo di interfaccia davvero funzionante con cui le guarnigioni vengono istruite per mezzo di un paio di comandi a rapido innesto, per fare che le vicende defluiscano veloci, tali che lo scorrere del tempo storico – misurato in anni – sia percepito di seguito a singola conquista, o a eventuale sconfitta. L’estetica acquista vette inusitate. Mostra il bagliore di quest’Inghilterra medievale facendo ricorso al colore vivo, usa il filtro dell’arte visuale sul versante delle icone castellari, mentre che allora si aziona la catapulta, con lo sfondo che sovente muta a tempesta. Di notevole impatto il luogo del gameplay, la mappa in pergamena al cui centro accampa la foresta di Sherwood e nella cui struttura si insedia la rifinitura, il ricamo in penna d’oca che descrive gli eventi. Cinemaware realizza un romanzo interattivo che sa cogliere i momenti più cavallereschi della tenzone e che riesce a definire in uguale misura il coefficiente tattico, quando che vi sia da schierare la fanteria da portarsi alla pugna, o da costruire le roccheforti.

Nel bellicoso conquistare si è invitati al torneo, avvenimento culminante della vita di un cavaliere e atto apicale della avventura, dal momento che si dovrà giostrare in prima persona, manovrando la lancia col mouse e quindi provando a disarcionare il nemico con un sol colpo. In caso di vittoria si otterrà in “dono” uno o più territori del giostrante sconfitto. È tuttavia possibile cimentarsi “per l’onore” così evitando il rischio della sottrazione dei territori conquistati, e di preziosi danari. Tra le varianti di azione di maggiore utilità vi è la scorreria notturna, grazie a cui attingere ai tesori del castello eventualmente violato, ma anche il salvataggio della “Lady” di turno, rinchiusa nella torre del maniero dal rivale. Ed è su questo inusuale stile interattivo che il titolo Cinemaware ha costruito il suo nome di avventura strategica a ibridazione, dacché non si è mai sopraffatti dalla boria di un assedio che stenta a terminare o dalla invadenza di intermezzi gestionali che possano compromettere il continuum delle campagne. Defender of the Crown sancisce l’equilibrio tra il pathos derivante il sentimento e la pianificazione realizzante l’azione, e sa come provocare la reazione, la contemplazione di chi osserva. La polivalenza strutturale del titolo Cinemaware si determina, nell’Ottantasei, in forma di sostanzioso rinnovamento del videogioco per personal computer se si tiene in conto che ne vennero commissionate edizioni per Atari ST, Commodore 64 e PC MS-Dos. La versione Amiga, che venne ultimata in sole sei settimane e che per questo manca una manciata di dettagli a raffronto con certune conversioni – viene ad esempio a perdersi l’animazione dei soldatini durante le battaglie campali – può comunque rivendicare grafiche e musiche manifestamente superiori ai sistemi concorrenti. Sicché, qualora ci venisse chiesto, e sebbene nell’esercizio di un discorso puramente accademico, saremmo propensi a considerare la presente edizione come la più confacente allo stilema Cinemaware.









  Piattaforma Amiga OCS / CDTV
  Titolo Defender of the Crown
  Versione Europea
  Anno immissione 1986
  N. Giocatori 1
  Produttore Mirrorsoft / Cinemaware
  Sviluppatore Master Designer
  Designers Kellyn Beeck, Robert J. Mical (Intuition), James D. Sachs
  Compositori Bill Williams, Jim Cuomo
  Sito Web www.cinemaware.com
  Sist. di controllo Analogico - Mouse
  Numero tasti 1
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Assente
  Formato Floppy Disk
  Numero supporti 2
  WHDLoad Sì [link]
  Genere Cinematic war game
  Rarità
  Quotazione 70 - 100 €
  OST No

 

È noto che alla fase di sviluppo del videogioco partecipò lo stesso Robert J. Mical della Commodore, il quale aveva da qualche mese brevettato Intuition. Prima di Macintosh e prima che il Workbench venisse realmente recepito dal consumatore prototipo, si può dire che Defender of the Crown fosse il vero banco di prova per questa rivoluzionaria interfaccia grafica a finestre. Qualora privato della flessibilità di Intuition, Defender of the Crown non avrebbe avuto motivo di esistere. O più probabilmente, sarebbe stato una avventura testuale. Si ravvisa un consistente numero di conversioni. Su Atari ST il gioco è sfarzoso quasi quanto l’originale, e anzi ottiene una sequenza di battaglia su Amiga non avvistabile. In ogni caso, su ST le sezioni arcade risultano in effetti meno governabili. La conversione Commodore 64 è notevolissima. Anche in mancanza del mouse si provvede a restituire i caratteri predominanti del gameplay a sedici bit; suoni e grafiche sono lo stato dell’arte. Il gioco doveva uscire anche per Spectrum ma alla fine, e sebbene il programma completo fosse già stato consegnato agli uffici Mirrorsoft si decise per la sua cancellazione. La rom del gioco è adesso scaricabile gratuitamente, nonché utilizzabile sotto emulatore. Il port Macintosh, anche in bianco e nero, è riuscito. Su Amstrad CPC il colore è sgorgante, ma viene a perdersi qualche animazione. Cosa che non accade su Apple IIGS, che però taglia notevolmente il commento sonoro che fu del versante Amiga. Il fronte dei PC compatibili ebbe anch’esso il suo adattamento. Più di un adattamento invero, dato che il videogioco esce prima in formato MS-Dos CGA in quasi monocromia e poi su dischi booter (no Dos) per i sistemi Tandy 1000, dove lo stesso acquista qualità estetica. Nel 2002 l’edizione “Remastered” per formati Windows e Mac avrebbe ottenuto l’hi-res e un milione di colori, ma avrebbe anche perduto il fascino del programma di riferimento. Il settore console e derivati vide un port per CDTV (1991) col suono digitale e tanto di parlato. Qualche anno più tardi la versione CD-i è di qualità raffrontabile, ma il controller è scomodo. La versione NES fa a meno di qualcosa. Ad esempio è presente il solo castello del fossato. La versione Game Boy Advance cambia notevolmente il design delle grafiche, e non funziona. Nel 2003 la nuova Cinemaware di Lars Fuhrken-Batista produce Robin Hood: Defender of the Crown (PlayStation 2, XBOX e PC). Il titolo, che è un ampliamento della opera originale, introduce sequenze di azione con l’arco e aggrava le interfasi della strategia.