Tanto tempo fa, quando Commodore Amiga muoveva i suoi primi
passi verso la storia e quando i titoli gestionali erano dei mattoni a
input
di testo, la Cinemaware creò il videogioco destinato ad assumere lo status
di
riferimento degli strategici di guerra. Si trattava di Defender of the Crown. Lo
si doveva far girare su di un costoso Amiga 1000 espanso poiché il 500 – coi
suoi 512K di serie – non c’era ancora, eppure quella era la miglior grafica che in
detto periodo un home computer potesse
concepire. Su Microcomputer, nota rivista dedicata, si elogiava questa nuova
frontiera del disegno realistico: l’interesse verso i videogiochi tramutava in
giornalismo, e ci si dirigeva verso il futuro in modifica di ciò che prima di
allora era stato l’intrattenimento del nerd. Un passatempo di livello inferiore. Attraverso l’unica
scena dell’assedio al castello si compiva il balzo in avanti, poderoso, di questa nuova
industria capace di rinascere dalle ceneri del mercato delle console americane.
Si è cavalieri senza
macchia del
XII secolo, a combattere la guerra di fianco a
Robin Hood contro i nemici del regno, i dissidenti che con Re Riccardo che è
partito per le crociate bramano la conquista della corona;
la rivalità tra Sassoni e Normanni culmina in campagne feroci che si
protraggono per decenni feudo a feudo e a fil di spada, nel periodo appena
antecedente al bagno di sangue della Guerra delle due rose, e tutto è uno scalpitare,
un duellare, un tessere trame. Veniamo introdotti a un tipo di interfaccia
davvero funzionante con cui le guarnigioni vengono istruite per mezzo di un
paio di comandi a rapido innesto, per fare che le vicende defluiscano
veloci, tali che lo scorrere del tempo storico – misurato in anni – sia
percepito di seguito a singola conquista, o a eventuale sconfitta. L’estetica acquista vette
inusitate. Mostra il
bagliore di quest’Inghilterra medievale facendo ricorso al
colore vivo, usa il filtro dell’arte visuale sul versante
delle icone castellari, mentre che allora si aziona la
catapulta, con lo sfondo che sovente muta a tempesta. Di notevole impatto il
luogo del gameplay,
la mappa in pergamena al cui centro accampa la foresta di Sherwood e nella
cui struttura si insedia la rifinitura, il ricamo in penna d’oca che
descrive gli eventi. Cinemaware realizza un romanzo interattivo che sa
cogliere i momenti più cavallereschi della tenzone e che riesce a definire
in uguale misura il coefficiente tattico, quando che vi sia da schierare la
fanteria da portarsi alla
pugna, o da costruire le roccheforti.
Nel bellicoso conquistare si è invitati al torneo,
avvenimento culminante della vita di un cavaliere e atto apicale della avventura, dal
momento che si dovrà giostrare in prima persona, manovrando la lancia col mouse e quindi
provando a disarcionare il nemico con un sol colpo. In caso di vittoria si
otterrà in
“dono” uno o più territori del giostrante sconfitto. È tuttavia possibile
cimentarsi “per l’onore” così evitando il rischio della sottrazione dei
territori conquistati, e di preziosi danari. Tra le varianti di azione di
maggiore utilità vi è la scorreria notturna, grazie a cui attingere ai tesori del castello
eventualmente violato, ma anche il salvataggio della “Lady” di
turno, rinchiusa nella torre del maniero dal rivale. Ed è su questo inusuale
stile interattivo che il titolo Cinemaware ha costruito il suo nome di
avventura strategica a ibridazione, dacché non si è mai
sopraffatti dalla boria di un assedio che stenta a terminare o dalla invadenza di
intermezzi gestionali che possano compromettere il continuum delle
campagne. Defender of the Crown sancisce l’equilibrio tra il pathos
derivante il sentimento e la pianificazione realizzante l’azione, e sa come
provocare la reazione, la contemplazione di chi osserva. La polivalenza
strutturale del titolo Cinemaware si determina, nell’Ottantasei, in forma
di sostanzioso rinnovamento del videogioco per personal computer se si tiene
in conto che ne vennero commissionate edizioni per Atari ST, Commodore 64 e PC
MS-Dos. La versione Amiga, che venne ultimata in sole sei settimane e che
per questo manca una manciata di dettagli a raffronto con certune
conversioni –
viene ad esempio a perdersi l’animazione dei soldatini durante le battaglie
campali – può comunque rivendicare grafiche e musiche manifestamente superiori
ai sistemi concorrenti. Sicché, qualora ci venisse chiesto, e sebbene
nell’esercizio di un discorso puramente accademico, saremmo propensi a
considerare la presente edizione come la più confacente allo stilema Cinemaware.