WAR IN MIDDLE EARTH di @Andrea
Chirichelli
Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul
«Un anello per domarli, un anello per trovarli»
Ash nazg thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul
«Un anello per ghermirli e nel buio incatenarli»
Prima
che Peter Jackson stravolgesse il modo di intendere la trilogia tolkieniana,
l’opera del maestro inglese era stata spesso spunto per giochi ad essa ispirata.
Indimenticabile ad esempio The
Hobbit, straordinaria avventura grafico-testuale per i sistemi ad 8 bit. War
in Middle Earth appare su Amiga nel 1989 sotto il marchio della Melbourne House,
con lo scopo dichiarato di rivoluzionare i giochi di strategia, allora poco belli da
vedere e, spesso, poco convincenti sotto il profilo della mera giocabilità. Nonostante
alcune pecche non da poco, il gioco riesce nell’intento. Certo, siamo di fronte al primo
passo di un percorso che porterà negli anni successivi una pletora di simulazioni
strategiche di grande spessore qualitativo, ma, nonostante alcune pecche, già War
in
Middle Earth poteva, al tempo, fregiarsi del titolo di must-buy per gli amanti della
tattica e, ovviamente, della saga tolkieniana.
Graficamente War in Middle Earth sbalordisce: i fondali,
completamenti digitalizzati, mescolati con altri sfondi generati casualmente dal computer,
offrono uno spettacolo senza precedenti al giocatore, reduce dai bianconerici quadretti di
Universal Military Simulator: colori saturi, immagini di
cristallina chiarezza, un mondo fantastico completamente mappato e disponbile a fare da
teatro alle avventure di Frodo e compagnia. Amiga dà prova di eccellenza assoluta anche
sul fronte sonoro e la fanfara su cui scorrono i titoli di testa è ancora oggi ricordata
con emozione. Il mix tra strategy game e RPG è interessante, anche se
non sviluppato in modo ottimale. Gli NPC (personaggi non giocanti) sono troppo statici e
l’interazione con essi è quasi assente. L’organizzazione delle truppe è caotica e alcuni
personaggi chiave della storia, Gandalf in primis, sembrano francamente troppo deboli
rispetto alla “tradizione” letteraria.
Lo spessore strategico invece è assolutamente convincente: tolta la sovrastruttura narrativa del libro originale, il giocatore può portare la
compagnia al Monte Fato, seguendo l’itinerario che più gli aggrada. Per la prima volta si
apportava davvero un completo senso di libertà: la Terra di Mezzo può essere esplorata a
piacere, si possono reclutare tutti i protagonisti della saga, pianificare attacchi a
città e fortezze, ottenere informazioni preziose sui movimenti delle truppe avversarie.
Un particolare effetto, quello della lente d’ingrandimento che permette di zoomare dalla
mappa della Terra di Mezzo alla location oggetto dell’esame, ci dà la misura della
vastità del regno da percorrere: tra mari e monti, vallate e cunicoli, strade arse dal
sole e viottoli nascosti nella boscaglia, lo spettacolare mondo ricreato dai programmatori
ripropone per la prima volta, con fedeltà, lo scenario che Tolkien si era immaginato
decenni prima e che un paffuto regista neozelandese non aveva ancora replicato su grande
schermo. Oggi, forti dell’incredibile e meritato successo della trilogia cinematografica,
meri epigoni dei giochi che furono non fanno fatica a ritagliarsi onori ed incassi versati
copiosamente dal pubblico mainstream; ma gli amighisti, quasi vent’anni fa, avevano la
Terra di Mezzo e l’indefinibile atmosfera e fascino da essa promanante, contenuta in due
dischetti
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