MILLENNIUM ACTRESS
di @Luca Abiusi

Se provassi a oltrepassare quest’idea dove i film devono conservare un principio e una fine, e opzionassi una dimensione di metà Novecento in cui dibattere con Truffaut e Godard nel merito della possibilità di estrarre dagli archivi maledetti della Cinémathèque Française un cinema di multiangolare scansione di sé stesso, potresti magari trovarti in obbligo di conciliare la settima arte all’evocazione dello spirito di Satoshi Kon. Che nel 2001 aveva diretto il presente Millennium Actress come un trompe-l’œil che fornisse nuova versione dietro altrettanta visione, poiché il tributo nei confronti della trasformabilità delle immagini cinematografiche doveva comportare di queste il riposizionamento in misura di frammenti tridimensionali. Che avrebbero dovuto dar luogo al flusso cinetico, onde svilupparsi secondo i criteri del cartonato delle opere teatrali itineranti: si allestiva un orizzonte artificiale oppure due, in funzione dell’ondulamento del mare, e un paio di addetti alle estremità del palcoscenico che in fasi alterne muovessero. Il risultato poteva convincere sebbene si notasse bene che era un trucco. Eppure, si era disposti a pensare che sì tanta finzione non avesse che da restituire le sue teoretiche verità, foss’anche a un astante disorientato dall’incoerenza dei luoghi e dei tempi, rispetto a precedenti e più formali tecniche di contravvenzione visiva.

L’itinerario del resoconto storico e della storia del cinema giapponese, a loro volta ripresi dalla videocamera di un documentarista che i film dell’«attrice del millennio» sembra che se li è visti cinquantaquattro volte addestra, accostando il picture in picture, in un diversivo che dal riverire Chiyoko Fujiwara – monumento (vivente) alla memoria di Ginei Studios – passa al montare di un “instant colossal” di cui essere modificatori in terra straniera, in Manciuria per retrocedere a cavallo al periodo Edo a fare da scudo alla principessa fino a condurla in salvo tra le frecce e lo sgomento del secondo operatore, che d’un tratto non sa dove si trova e deve anch’egli convincersi di dovere agire per non farsi investire da situazioni più grandi di lui, in quanto il cinema vuol dire mistificazione, e anche succedesse di sacrificarsi in sua vece pur malgrado questo surrealista metodo Stanislavskij in virtù del quale improvvisarsi registi, sceneggiatori, attori e direttori della fotografia non vi è di sollevar questione, ché si chiedeva giusto di rimanere dentro la messinscena e vedere di riuscire a identificare il colpevole, quello che era fuggito dal set di Perfect Blue non lasciando traccia di sé. Il funzionario governativo che fa imprigionare l’unica persona che Chiyoko diceva di aver amato è sinistro abbastanza da rispondere ai requisiti di ricerca, sempreché codesto amante esistesse per davvero, che lo si è visto nel film, mica nella realtà. A meno che non fosse vero il contrario. E Satoshi Kon vince. Per la seconda volta.

Millennium Actress è uno straziante, disperato atto di purificazione del modello cinematografico precedente al digitale. E non stiamo tuttavia dicendo di un film che debba onanisticamente dimostrarsi a una cinefilia d’elite e appagare certune aristocrazie addentrabili mediante stretto giro di conoscenze nei dintorni veneziani o nei circoli clandestini di Montreal. Quantomeno non solo, essendoché il film persegue tra le sue biforcazioni decifrative uno svolgimento melancolico accedibile, dell’amore destinato a rimanere sospeso, per quanto stoicamente lo si alimenti, balzando di set in set, lanciandosi nello spazio profondo poiché «dopotutto, è il fatto d’inseguirlo ciò che amo davvero»; la resa drammatica, inesorabile del teleromanzo “epocale” va conseguendo liricamente il suo acuto nel sottintendere, in una manovra allegorica riguardante il legame sottile tra metanarrazione e significato risposto, che le surrogate stazioni del vissuto (e agognato) non sono che parti di uno script, assegnazioni di ruoli che serviranno a illudere chi li interpreta di poter avanzare l’ultima parola sul finale. Che però è già stato deciso. Satoshi Kon, elegantissimo, nondimeno impegnato sui due fronti della regia e del character design induce quest’arte manuale di trasformismo scenografico a rivestitura del sontuoso scritto di Sadayuki Murai – autore eterogeneo: nel 2004 avrebbe co-sceneggiato Steamboy e ciò nonostante ottenuto, nei successivi anni, copioni di rilevanza minore – e a investitura di lessicologie consuete a sparuti altri.  












  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Sennen Joyū - 千年女優 -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 2001 / Cinema
  Produttore Madhouse
  Regia Satoshi Kon
  Fotografia Hisao Shirai
  Soggetto Sadayuki Murai, Satoshi Kon
  Character design Satoshi Kon, Takeshi Honda
  Mechanical design //
  Dir. animazione Shôgo Furuya, Hideki Hamazu, Takeshi Honda, Toshiyuki Inoue, Ken’ichi Konishi
  Compositore Susumu Hirasawa
  Sito produttore www.madhouse.co.jp
  Formato DVD-Video
  Edizione Italiana [Passworld]
  Anno edizione 2010
  Numero supporti 1
  Lingue JP / IT
  Sottotitoli IT
  Rapporto 1.85:1
  Compatibilità Region 2
  Durata 83 min
  Episodi //
  Reperibilità Buona
  Prezzo 7 € circa
  OST Sì [Millennium Actress Original Soundtrack, 2002, TESLAKITE]

 

Il lungometraggio si aggiudica, nel 2001, il premio di Miglior film d’animazione al Fantasia Film Festival di Montréal, dove, come accaduto con Perfect Blue, aveva ottenuto proiezione in anteprima. Avrebbe di lì a breve altresì raccolto onereficenze presso il “Japan Agency of Cultural Affairs Media Arts Festival”. Eleven Arts, che del film è detentrice dei diritti di distribuzione cinematografici per il Nord America, ne ha disposto ri-proiezione nell’agosto del 2019, assieme a un nuovo doppiaggio.