TOKYO GODFATHERS
di @Luca Abiusi

Si potrebbe semplificare e dire che il terzo Satoshi Kon se ne va da un’altra parte, e ma possiamo giurare sullo spirito del Natale presente che ciò è vero nemmeno a volerlo pensare soltanto, da che lo sapete voi per primi che s’incomincia dal racconto invernale e si arriva in un intermedio in cui doversi inventare storie d’incastri temporali rassomiglianti a novelle, con tutto il rispetto per queste ultime, e ma Dio non voglia d’invischiarsi nella trappola del sentimentalismo sfuso, ché davanti a Tokyo Godfathers si è disposto un testo che non ti consente di mancare il singolo episodio rivelatore di certi fotogrammi alternativi, quelli che porteranno uno dei tre disperati a rimanere sulle strisce pedonali di una mezza frazione di secondo in più necessaria a eludere la collisione con un motociclo fuori controllo. Per non parlare dell’ambulanza. Si farà in modo di retrocedere al preciso istante in cui il continuum viene deviato dal ritrovamento di questa bambina la cui aura sembra volere alterare il destino di coloro che le si avvicinano.

Che a concertare il film è stato Satoshi Kon lo si determina da come abilmente venga esautorata la possibile controindicazione della convenzionalità, presi in carico i ritornanti temi dell’abbandono, dell’intolleranza e della vaga omofobia da scomodarsi nientemeno che alla natività del Cristo, dove si è tutti più buoni e dove invece in realtà si è tutti cattivi, ancor meglio se in questo Giappone tutto ordinato e rispettoso, ma che se vede un senzatetto lo pesta rispettosamente a sangue. «Kumbaya my Lord, Kumbaya», sembra il regista provocatoriamente canticchiare pur senza sviare il binario della causalità rigorosa, aritmetica (aritmica) della macchina consequenziale che dispone l’apparente disordine nell’ordine prestabilito delle azioni che generano la struttura del caos, l’uno e lo zero, traccia discontinua che nonostante le interruzioni di assetto culmini sempre in un disegno “alto” che sia di ricerca, se non di redenzione, di un equilibrio spirituale apocrifo e pagano, ché non dev’essere il fondamento religioso a essere giusto, costui che dimora nell’oratoria delle prediche e delle parabole e che, in accordo con la scena di apertura, se ne sta al sicuro nelle chiese. Il “miracolo al quartiere commerciale di Shinjuku” ha a che fare con l’improbabile legame, eppure totalmente autentico, che cementifica tra gli emarginati in lotta per la sopravvivenza, in questo caso altresì custodi designati del nuovo nato. Tokyo Godfathers sovviene a forma di commedia sofisticata, pungente nella migliore tradizione del bianco e nero all’americana.

Si è riversato sul colore uno strato di cloruro di sodio che ne aumentasse il composto, e che vedesse riconsegnati ai corpi equivalenti motivi di soffusione, per iniezioni di luci che sanno risaltare le linee corrugali di media caricatura, perché s’inscenasse uno spettacolo di “macchiette” in cui occasionalmente far prevalere la dismisura delle sezioni anatomiche inferiori – la deambulazione di certi momenti secondari diventa di mero accenno, quasi che il regista intendesse attenuare col teatro mimetico il verismo periferico della quotidianità – a intercedere a un’arguto sense of humor che è di postura, oltreché di recitazione e stringhe di battute da pronunziarsi sul controtempo cinematico, che da Millennium Actress in avanti non si scompone, qui reggendo il dilatarsi della forma costruttiva (discorsiva) altra persino nel quando si manifestino a schermo i logotipi del dramma etnico-tradizionale, ancor dove nel Giappone non propriamente multirazziale d’inizio anni Duemila. Tokyo Godfathers, con le sue inverosimili coincidenze, rilegge il cinema del populismo e del lieto fine alla maniera di Frank Capra, quello del significato postumo, amaro che vorrebbe riportare al diretto contrario di quanto avviene in proiezione; storditi dal finale improbabile, si resta sospesi tra la volontà di conciliazione, di farsi coinvolgere dall’emotività degli “eventi soprannaturali”, e la necessità di razionalizzare, per concludere che i miracoli succedono solo nelle storie che si raccontano ai bambini per dire loro che va tutto bene. A un certo punto, sulla colonna di un giornale, si nota un riferimento alle “Cham”, il gruppo idol di Perfect Blue.    












  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Tokyo Godfathers - 東京ゴッドファーザーズ -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 2003 / Cinema
  Produttore Madhouse
  Regia Satoshi Kon
  Fotografia Katsutoshi Sugai
  Soggetto Satoshi Kon, Keiko Nobumoto
  Character design Satoshi Kon, Ken’ichi Konishi
  Mechanical design //
  Dir. animazione Ken’ichi Konishi
  Compositori Moonriders, Keiichi Suzuki
  Sito produttore www.madhouse.co.jp
  Formato DVD-Video
  Edizione Italiana [Sony Pictures Home Entertainment]
  Anno edizione 2005
  Numero supporti 1
  Lingue JP / IT
  Sottotitoli IT / EN
  Rapporto 1.85:1
  Compatibilità Region 2
  Durata 92 min
  Episodi //
  Reperibilità Buona
  Prezzo 8 € circa
  OST Sì [Tokyo Godfathers Original Soundtrack, 2003, JOY RIDE records]

 

Il lungometraggio, vincitore di premi al Japan Media Arts Festival del 2003 e alla 58ª edizione del Mainichi Film Awards trae libera ispirazione dal film “In nome di Dio”, diretto da John Ford nel ’48, che a sua volta rimandava al romanzo di Peter B. Kyne del 1913 “Three Godfathers”. Tra il 2004 e il 2005 vengono del film realizzate edizioni in DVD per il Giappone, l’Europa e il Nord America. In italia, il DVD uscirà anche in “versione noleggio”. Nel 2012 ne verrà prodotto il restauro in Blu-ray per il Giappone. Nel 2018, il medesimo master verrà utilizzato da Manga Entertainment per il Blu-ray UK.