Parve poco più che discreta,
la Revolution di
Lure of the Temptress. Ma nel ’94 Beneath a
Steel Sky intende farle compiere il balzo verso cose
non
viste,
per lasciare indietro Sierra Entertainment e magari surclassare nientemeno che
LucasArts;
all’analisi della narrativa del prodotto ultimo non si può che scrutarvi
la reinvenzione della avventura grafica, che era per lunghi anni rimasta incagliata sulla verve degli
scrittori senza mai svecchiarsi nell’intessitura. Sennonché Beneath
a Steel Sky
evita di porsi a mo’ di alternativa agli adventure più in
vista. Il
proposito, semmai, è di conquistare lo stadio ultimo dell’evoluzione della specie instillando
all’idea
del punta e clicca il cavillo della cooperazione: l’atto
dell’intrattenere diventa secondario. Si fa in modo che a tramare l’ordito della
consumazione intervengano le scritture più
innovative e le meglio strutture a puntatura,
sicché il protagonista un po’ fordiano
rifà allora Rick Deckard,
a tracciare i connotati del noir di fantascienza e determinare il
percorso a incastri.
Il principio d’interazione spaziale studiato
dai realizzatori è istantaneamente interessante nella fase di comunicazione
con l’androide amico, co-protagonista stereotipo, ma solo esteriormente. Gli
si dovrà impartire lezioni comportamentali riassumibili in ordini più o meno
complessi da fargli assolvere come estensione dei – limitati – movimenti
performabili da Foster. La città-stato immaginata da Revolution è chimerica:
sono i robot, le menti artificiali a condizionare la umana routine della sopravvivenza, che sotto il cielo d’acciaio è frazionata in tre
strati sociali protesi in altezza. Il settore a pian terreno appartiene alle classi
privilegiate. Quello ultimo al ceto più basso. Una suddivisione che si percepisce anche
dal registro cromatico, che se nei piani superiori tende al grigiastro già nei settori
intermedi si schiarisce, fino a divenire floreale a Livello Terra. Lo schema del
controllo e dell’ordine, cui la società sembra immolarsi inerme, robotica,
devìa la funzione stessa del gameplay, le mansioni del dialogo e della combinazione degli
oggetti, pratiche funzionali alla economia del genere ma dettagli secondari all’interno
del macrocosmo distopico – stracolmo e ferroso – che gli eventi suggeriscono e anzi
aggravano a fondamento. Beneath a Steel Sky è l’allacciamento neuronico al supercomputer
LINC – avventura nella avventura, la fase più borderline di uno script solo
apparentemente cyberpunk – regolatore del mondo, nel cui labirinto surrealista si è
navigatori alla deriva ma dalla cui materia si estrarranno gli indizi più alimentari alla
direzione terminale, metafisica e atterrente.
La fantascienza di David Sykes, pure alleggerita dal cliché
umoristico-demenziale di estrazione gilbertiana, è chiaramente
inquisitoria; dalla primordiale e selvatica Radura prende luogo la resistenza al
progredire tecnologico – che è visto come piaga fascistoide e militarista – per spostare
le cronache su di una riflessione politica che inquadri la urbanizzazione come frenante
della umanizzazione. L’affresco è adulto e viene restituito mirabilmente da un punto di
vista ingegneristico, ancor prima che estetico. Vi è del lavoro progettuale votato al
futuribile sul retro dei disegni intricati e pregni di ruggine di Union City,
megalopoli-incubo menzionante il Brazil di Terry Gilliam in seno ad architetture Gestapo
da giustizia lampo in trentadue colori ECS. I duecentocinquatasei della edizione
MS-Dos eran troppi, finivano per impastarsi, e si pensò (erroneamente) che le grafiche
fossero state
dapprima dipinte su risoluzioni PAL e poi ritoccate in standard VGA
col Personal Paint. Sta di fatto che gli arancioni e le tonalità rosso apocalisse
sono di un evocativo che sulla macchina Commodore mancava dai tempi di
Future Wars,
e che il dettaglio è pure ancora più pesante che in
LeChuck’s Revenge. La scorrevole animazione,
oltremodo manifesta nell’iniziale pre-rendering dell’elicottero che
precipita in mezzo ai grattacieli e i fumi tossici, tende a
rimanere costante fino a chiusura, quando il ruolo deviante del nostro
è scoperto, con buona pace di chi si aspettasse l’ennesimo, prevedibile messaggio d’amore.
Sebbene quindi Beneath a Steel Sky venisse accostato, in pieno ’94,
al retaggio
degli adventure tradizionali di fine anni Ottanta, si ritiene che
il titolo debba trascendere i
generi, e poi riferirsi alla elite dei videogiochi più influenti.