The
first home coin-op:
così sparava in copertina la bibbia dei videogiocatori europei Computer and Video
Games
nell’aprile del 1988 nel presentarci una delle prime produzioni dell’allora in auge
Melbourne House. L’era Amiga cominciava ufficialmente ed il nome dei Bitmap
Brothers appariva per la prima volta nelle recensioni ufficiali. Di lì a poco
sarebbe diventato per tutti i videogiocatori sinonimo di divertimento, entusiasmo e,
ovviamente, di amore feticista per le superfici riflettenti. Xenon più che un gioco era
una dichiarazione d’intenti: tutte le caratteristiche tipiche che i Bitmap avrebbero negli
anni successivi implementato nelle loro produzioni apparivano in questo shoot
’em up
a scorrimento (quasi) verticale nella loro epifanica chiarezza: innanzitutto il look
metallico. Lucente, sberluccicante, abbagliante, che dava alle navette una consistenza
fisica, reale, tangibile: un vero e proprio marchio di fabbrica. L’attenzione al comparto
sonoro era un altro credo del gruppo ed infatti in Xenon la musica di David
Whittaker lasciava il segno: ossessiva e coinvolgente, accompagnava il giocatore
nella sua furiosa azione blastatoria e segnalava con indimenticabile cambio di registro
l’approssimarsi del boss di fine (e metà!) livello.
Come dimenticare il “Game One!”
digitalizzato che veniva urlato in una finestra sullo schermo dall’immagine di uno dei
programmatori del gioco? Oltre lo stylish, Xenon si presentava come
sparatutto a scorrimento verticale con alcune interessanti contaminazioni. Prendendo il
controllo della navetta il giocatore poteva trasformare la stessa in un carro armato per
eliminare i nemici che si trovavano a terra. La possibilità di muoversi in otto direzioni
rendeva di fatto Xenon uno shoot ’em up multidirezionale che richiedeva un
approccio tattico soprattutto in alcuni frangenti, visto che i nemici e le postazioni di
fuoco nemico avevano l’abitudine di rovesciare una vera e propria pioggia di proiettili
addosso al mezzo guidato dal giocatore. Come in ogni sparatutto che si rispetti
l’astronave/carro poteva essere potenziata con l’abituale corredo di missili a ricerca,
scudi difensivi, boost che aumentavano la velocità della navetta, insomma tutte quelle feature
che (iperpotenziate) avrebbero poi reso il seguito di Xenon LO spara e fuggi per
eccellenza su Commodore Amiga.
La notevole difficoltà, specie per i meno avvezzi al
sistema di controllo (non perfettamente bilanciato, visto che a volte si rischiava di
passare dalla navetta al carro armato senza volerlo) era mitigata dal fatto che i pattern
dei nemici si ripetevano con disarmante evidenza e che dopo poche partite si sapeva
perfettamente cosa ci avrebbe attaccato e dove saremmo stati messi in difficoltà. Oggi
dopo aver sparato migliaia di proiettili e abbattuto ogni boss di fine livello possibile,
il giocatore potrebbe trovare oltre modo antiquato Xenon e il suo ridotto campo di
battaglia. Del resto, gli anni passano per tutti e nonostante il figlio di questo spara e
fuggi ancor oggi rifulga di luce propria, il capostipite della dinastia, come ogni vecchio
padre, merita rispetto. A quei tempi eravamo tutti meno smaliziati e certmente,
quand’anche ci fosse stato internet, probabilmente per Xenon non si sarebbero versati i
fiumi di inchiostro che oggi inondano Ikaruga, Radiant Silvergun e compagnia bella. Però
il suo sporco lavoro di divertire Xenon lo sapeva fare molto, molto bene. Assieme
all’altro (misconosciuto) capolavoro della prima generazione di giochi per Amiga (SideWinder,
curioso esempio di come si possa avere tra le mani un potenziale capolavoro e non si
riesca a capitalizzare questo dono) Xenon regalò tantissime ore di divertimento agli
appassionati del blastaggio indiscriminato all’insegna del “ancora una partitina e
poi smetto”.