WILLOW
di @Luca Abiusi

10103801.jpg (1225399 bytes)Lucasfilm affidò a Ron Howard la direzione del film “Willow”, un polpettone fantasy dove c’erano le magie, i draghi e i nani che venne anche presentato in anteprima al quarantunesimo Festival di Cannes, fuori concorso. E sembrava avere un buon potenziale, visto che parte della critica ebbe a parlare discretamente dei suoi effetti speciali già evoluti, nella era del pre-digitale, e delle sue atmosfere medievali brillanti quanto l’interpretazione di Val Kilmer, che poi avrebbe vinto l’Hugo Award. Uscito in sala il film si rivelò un flop in sede di incassi, però alla Capcom ne avevano bene appresa la riconvertibilità in videogioco, ché già pensava Capcom a una struttura arcade del tipo avventura bidimensionale a singolo giocatore alla Ghouls’n Ghosts, anche se poi vi avrebbero aggiunto il secondo giocatore. E così Willow divenne un action game dinamico con le monetine da spendere in upgrade dentro appositi negozi di negromanti erranti, con le piattaforme che potevano essere raggiunte in arrampicata, à la Prince of Persia, e un beam inferiore messo per diversificare un po’, per quanto il platformista ostentasse idee evidentemente riciclate dal retaggio di genere.    

Il titolo ripercorre piuttosto fedelmente gli itinerari della pellicola, con le dovute e inevitabili limitazioni, mantenendone inalterato il feeling fiabesco: i personaggi così come gli ambienti sono diretta figurazione delle riuscite scenografie e quindi in questo ristretto visus in due dimensioni abbiamo la fedele riproduzione in pixel dei protagonisti – il nano e il cavaliere, che sono i due pupazzi impersonabili – già dotati di caratteristiche adeguate alle loro propensioni (e dimensioni). Quindi il multiplayer consente di realizzare avventura di simbiosi discreta dall’inizio; viene introdotto un fattore cooperazione che si rivela assai riuscito all’atto dell’abbattimento dei mostri. Finalmente Capcom introduce il co-op al di fuori del pestaduro, e sembra cavarsela piuttosto bene in seno al ribilanciamento del gameplay a singolo attore, nel quale in ogni caso si avrà modo di impersonare, in alternanza, entrambi gli eroi. Il mestiere della software house nipponica è riconoscibile infiltrando la massa di gioco prodotta nel medio periodo di interazione, quando comincia a subentrare la frustrazione e i nemici cominciano a divenire dispettosi ma anche quando, nonostante la massa, si realizza di dover restare incollati al videogioco fino a che fine non sopraggiunga.    

Come accaduto per il film, una volta in sala (giochi) Willow venne accolto tiepidamente. Eppure non ci è difficile ricordare una versione personal computer di Willow, prodotta nel 1988 e realizzata da Mindscape, che non c’entra assolutamente nulla con l’edizione Capcom ma che di sicuro, quantomeno nel Vecchio Continente, vendette più del coin-op. Eppure il nostro sembra posseder nulla in meno di un Black Tiger o un Ghosts’n Goblins o un Trojan, che di certo non possedevano il bilanciamento del nostro, ma è forse vero che, quando uscì, il genere avesse detto abbastanza e non vi fosse più l’aspettativa di rivoluzione dopo averla scritta, la rivoluzione, con Daimakaimura. Eppure il nostro disegna grafiche di meticoloso dettaglio ed anima sontuoso le bestie, che sono grandi e imponenti, e colora ispirato gli sfondi con pennellate di colore a mille e più gradazioni arcobaleno, per portare rispetto alle scenografie del lungometraggio, e fa scrollare lo scrolling in deciso scorrimento differenziale con le foreste incantate che emergono dalle inquadrature a campo largo e gli gnomi e i cavalieri e i brutti ceffi da affrontare spada in pugno o lanciando incantesimi a distanza. L’intero bagaglio di stereotipi di post-letteratura di fabbricazione Capcom è messo in platea coi giusti tempi di interazione, e anche la struttura musicale beneficia di questo artigianato di luoghi abituali suonando, strimpellando ballate di campo, di fuochi di battaglia a rallegrare la truppa, pure se qui si combatte al massimo in due, ma è un dato secondario. Titolo di riuscita tradizione. Seppure destinato a scomparire dalle sale ancor prima che il microfenomeno cinematografico esaurisse la sua verve d’essai e pur senza mai ottenere una qualche conversione per sistemi domestici, Willow è decisamente la Capcom che più ci sta a cuore, quella arcaica del videogioco bidimensionale classico non ancora invischiata nel fenomeno Street Fighter II, e ancora figlia dei suoi anni Ottanta.









 

  Piattaforma Coin-op
  Titolo Willow - ウィロー -
  Versione Giapponese
  Anno immissione 1989
  N. Giocatori 1/2
  Produttore Capcom
  Sviluppatore Capcom
  Designers Yoshiki Okamoto, Hiroyuki Kawano, Seigo Ito
  Compositore Takashi Tateishi
  Sito Web www.capcom.co.jp
  Sist. di controllo Digitale - Joystick
  Numero tasti 2
  Orientamento Orizzontale
  Scrolling Laterale
  Risoluzione 384 x 224
  Formato PCB - CP System
  Emulazione Completa [testato su MAME]
  Genere Platform
  Rarità
  Quotazione 70 - 90 €
  OST No

 

Willow non ha mai conseguito port diretti. L’edizione Nes, sebbene prodotta da Capcom, è un ruolista zeldiano che con l’arcade ha in comune il solo design del personaggio principale. Il film ha recentemente ottenuto una edizione restaurata in HD.