Straveloci
corrono i filmazzi dei vampiri di Yoshiaki Kawajiri. Essendoché non c’era stato
Bloodlust soltanto. Antistante a esso si era difatti dovuto attestare
il sanguinamento scarlatto di
Cyber City Oedo 808,
motivo di sviluppo negli anni considerabili ’90 di stravaganti trame
psychotroniche sui draculi che succhiano i sangui di sì tante fanciulle dal candore
simmetrico, ché si testifica in Bloodlust il medesimo barocco
dislocativo-passatista et fantomatico in base al quale gli spadoni devono darsi il
cambio coi raggi laser, a vista compiacendo le stilografie
dell’omonimo racconto di Hideyuki Kikuchi, ma quelle appena, datoché Kawajiri si
avvia un lastricarsi di curvamenti e crocefissi ottocenteschi da strappamento
mandibolare, che si ha da osservare, per capire, che non sarebbe sufficiente
sentirne dire o salivare sulle pagine dello storyboard se di mezzo ci sta un
Kawajiri il cui atto di accedere al tempo progressivo all’interno di un
precedente studio di anatomie muscolo-scheletriche, tant’è vero che gli attori
si sentono di squarciare il visore a recidere da parte a parte le giugulari dei
paganti portatori malsani di biancherie firmate Naoko Takeuchi, è proprio il suo modo di
insistere sul metodo d’animazione turbofuturista, che deve rompere l’assoluto statico,
che deve scappare in regime perpetuo.
Si professa disponibile il cineasta a intrattenere
discrete pratiche di autocompiacimento sessuale, per non defluire
nell’incesto con queste sue creature nere che bramano depravarsi più crudeli e
rosse di sua crudeltudine Erzsébet Báthory – figura dal gusto sadico quantomeno eccentrico:
vissuta tra il XVI e il XVII secolo, la donna soleva adescare e fare a pezzi
giovani aristocratiche per il ticchio d’immergersi nel loro sangue –, la quale
sovviene qui di ritornare alle sue antiche imprese, sebbene sotto mentite
spoglie,
seppure anche si capisca che è lei, non ci sono dubbi, le hanno dedicato
filmografie intere eppure mai, esse, potranno essere all’altezza del ritratto truculento che il
regista de La città delle bestie incantatrici le ha dedicato, un signore
di barbariche maniere che istiga il fondamentalismo dei Nostri parametri di
valutazione sicuramente inclini all’orrore di Bloodlust, discorrendo lui di scorribande
in sequenza di licantropia e bounty hunter, come spaghetti western à la
Sergio Leone di Qualche dollaro in più che apprestano a incassare benissimo il
crepuscolo buronsoniano cui l’umanità del futuro è giunta a meritarsi,
ché di certo l’esecrata creatura del film non può essere il Conte
succhiasangue, ma viceversa chi gli dà la caccia, l’umanità, appunto, e forse lo
stesso “D”, che nel sopprimere il suo “lato oscuro” rinuncia,
masochisticamente, al patrimonio che lo renderebbe casto.
E siccome ci stava un ben fornito contingente di
apostoli
del maligno da esorcizzare “on the road”, dato per certo che erano le
spericolate manovre registiche di George Miller a raffinare il combustibile dell’ultimo
Kawajiri, è predisposto che i “claustri” cementiferi di quelle che una
volta usavano chiamarsi “città maledette” siano abbattuti, per consentire lo slittamento del tempo
narrato e un complessivo geografico incidente (Highlander:
Vendetta Immortale andrebbe difatti guardato subito dopo) che non
esitasse a infuocarsi degli scarichi a gasolio grezzo, di macchine coi
rastrellatori di cadaveri sullo sfondo dell’età del medio spaziale, poiché restava intenzione del Kawy di erigere
il razzo di Cape Canaveral esattamente al centro del Castello Nero, al posto del
torrione, purché a ridosso della fiorura delle azalee; si risponderà al richiamo
dell’Ordine Floreale cui Akio Sugino è membro fondatore, ché il Maestro di opere
in costume ne ha dispensate per tre decadi, e che nel merito dei profili a punta
ghirlati delle acconciature di Maria Antonietta D’Asburgo dev’esser trasalito in
lacrime, avendo trovato in Kawajiri il primogenito cui poter trasferire
proprietà e titoli risalenti all'antica dinastia nobiliare Imagawa. Sebbene
colpevole di una stesura scritta ridondante, e ancorché pronosticabile nella
intercorrente fotografia come in certi momenti di azione neutrale, il film
resta un massivo esponente dell'anime cinestetico-immaginista che
Kawajiri stesso, per intercessione di Rintaro, si era prefisso di iniziare ne
La spada dei Kamui,
la riduzione cinematografica della serie di romanzi di Tetsu Yano. Si recuperi Bloodlust in HD, se
possibile in questa mirabile versione per il Regno Unito prodotta da AllTheAnime.