NINJA SCROLL
di @Luca Abiusi

Trasduzione di celluloide poliziottesca anni ’70 sotterranea, e se dopo succede di girare un film di ninja residenti nel 1500 è cosa abbastanza superabile che deve riguardare il regista e lo sceneggiatore, che sono la stessa persona che di nome fa Yoshiaki Kawajiri. Si stabilisce in ordine a un richiamo di reticolare increspatura, disegno affusolato e particolarmente appuntito che solamente lui sa come si fa una serie di azioni, e di profili anatomici di un tono blu bianchissimo, un rosso di contrasto allo sfondo a intermittenza com’era pressappoco successo ne La città delle bestie incantatrici, ché se pure anche nella imperfezione di quest’immagine sofisticata dal precedente e reiterato uso della videocassetta, dove Ninja Scroll inizialmente risiedeva, si poteva riconoscere sin troppo nitidamente il complemento del fotogramma-chiave, che risolve la questione della fotografia in una frazione di secondo, il tempo necessario a che il grado di acidità del colore venga dall’occhio codificato senza passare dalle sinapsi, ché l’animato di Kawajiri è un flusso costante, e plenipotente dovrà imporsi a infondere vampi di luce subliminale.

E i novanta minuti del film diventano improvvisamente trentacinque. Si restringono. Non lo senti il tempo che scorre, nei tempi funamboleschi di un soggetto prossimato verso il ripristino della narrativa di Kurosawa, il cui plasma viene estratto per canalizzarne i fiotti e usarli come decorazione invero, mica per studiarne il DNA, ché Kawajiri ricusa il cliché del cineasta che si mette a scrivere le cose che hanno fatto gli altri, e anzi lui incoraggia una linea d’uscita dal genere, dentro a queste derive di sadismo e violenza, giusto per abdurre una possibile trappola filo-dottrinale di formazione Kamakura-Muromachi; il cinema di Kawajiri, più metodicamente melodrammatico di quanto l’uso intensivo della steadicam lasci intendere è comunque intriso di manipolazione e dissacramento della retorica storicista. Se ne ha prova nella figura di Kagero. Velenosità conturbante che il cineasta inseguiva dai tempi di “SF Shinseiki Lensman”, arrivando a comprovarne gli effetti sulla sua epidermide nella trilogia delle città maledette, che doveva essere l’87 quando scrisse della donna ragno, fomentando le subculture di certo “pus underground ad alto costo”, che poi avrebbero segnato il decennio novantesco. Ma lo si perdona, davanti al ricorrere di questo primo piano scientifico che collide il medievale rosso sangue di media riscrittura del western, dove al posto dei sette samurai si trovano gli otto demoni di Kimon. 

Il movimento, in Ninja Scroll, si determina di pari passo all’innesco del volume di profondità. È il corpo mobile che appresta allo schermo, escalando velocemente, a imprimere nell’opera questo suo tagliante dinamismo, che se vogliamo è anticinematico per assenza di riferimenti orizzontali, per cui lo spostarsi del modello umanoide sullo zoom più eccessivo conduce alla sincope delle proporzioni, che si proiettano tridimensionalmente, e che trasmutano a sagome longilinee penetranti; le sorgenti luminose, i chiaroscuri, la sovraesposizione del lineamento sottocutaneo concorrono propedeutici alla (voluta) ristrettezza di questo quadrilatero sorgente che reclama verticalismo, e ci sono tutti questi oggetti a ingranaggio in legno e metallo, e cose meccaniche smontabili che non fanno che sovraccaricare l’inerzia del girato. E la cadenza del fotoscatto. Si arriva a Kaoru Wada, quindi al suono che scalfisce l’avanzamento della tensione in un modo che ti ridesta i nervi, che lo cogli, lo avverti inesorabile il vertice del contenzioso tra katane truculento, teste che volano via per uno strumento a corda che sibila, il gigante in pietra che si sgretola sotto il fendente dell’acciaio vibrante trapassante, e l’udito si affila al sonaglio della lama sguainata così che nel momento in cui l’omicidio avviene lo senti in anticipo il soffio del pezzo di carne tagliato, poi che Kawajiri inventa sì, romanza la storia del Giappone antico, ma soprattutto riflette lo stato brado della sua arte. Cuore di tenebra che non conosce pietà.









  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Jūbē Ninpūchō - 獣兵衛忍風帖 -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 1993 / Cinema
  Produttore JVC / Toho / Movic / Animate Film / Madhouse
  Regia Yoshiaki Kawajiri
  Fotografia Hitoshi Yamaguchi
  Soggetto Yoshiaki Kawajiri
  Character design Yoshiaki Kawajiri
  Mechanical design //
  Compositore Kaoru Wada
  Dir. animazione Yutaka Minowa
  Sito produttore www.madhouse.co.jp
  Formato Blu-ray Disc
  Edizione Italiana [Yamato Video / Anime Factory]
  Anno edizione 2019
  Numero supporti 1
  Lingue JP / IT
  Sottotitoli IT
  Rapporto 1.33:1
  Compatibilità Region B
  Durata 90 min
  Episodi //
  Reperibilità Buona
  Prezzo 20 € circa
  OST Sì [Ninja Scroll Original Motion Picture Soundtrack, 2016, Milan Records]

 

Le prime edizioni occidentali di Ninja Scroll, perlopiù immesse in formato VHS mancando i passaggi per le sale cinematografiche, vennero sottoposte a rating; nel 1995, in occasione della release anglosassone, il BBFC [British Board of Film Classification] accorcia il film di quasi un minuto rimuovendo per intere le sequenze di nudo. Nel 2000, ancorché in seguito a un disguido sulla pellicola da utilizzare nel remaster in DVD per il Regno Unito, che doveva essere quella australiana integrale, la versione censurata di Manga Entertainment viene nuovamente confermata. Fu solo nel 2004, in occasione dell’uscita della edizione del decimo anniversario che il film ottiene, e per la prima volta in UK, il suo originale versamento cinematografico. Prima del Blu-ray testé presentato da restauro giapponese del 2012, Yamato Video aveva nel 2002 immesso in DVD da pellicola 35 mm, versione uncut. Il doppiaggio in lingua italiana, proposto in 2.0 DTS, è il medesimo del 2002.