PATLABOR: The Movie
di @Luca Abiusi

Non che Oshii non si fosse in pregresse occasioni già prodigato a smantellare e rimontare secondo un apparente ordine asimmetrico le interclassi delle serie televisive più giovanili, essì che l’hikikomori dimorante in Noi si guarderebbe a oltranza un suo inestimabile film dell’84 eppure è indubbio: Patlabor: The Movie destabilizza tuttora che si orbita intorno al 2020, e quant’è reale Iscariota lo vedi schierarsi integerrimo a favore di una élite di udienti politicamente addestrati, se non armati fino ai denti, e nemmeno per nulla fanatici accatastatori di edizioni limitate da trentamila soldi ma al limite depositari di uno scenario di caos dovuto alla corruttibilità del mezzo antropomorfo, che si ergerà a immagine e somiglianza di un Gundam. Arriveremmo anche a supporre che la scintilla dell’autodeterminazione della robotica debba detonare a seguito d’istigamento di un atto naturale di energia prevaricante, dato che i mecha sarebbero in ogni caso parte dell’autogoverno del cosmo invece che un sottoprodotto dell’uomo, come questi vorrebbe far credere arrogandosi potestà che spetterebbero a forze superiori.

Il Patlabor che i tizi di Headgear stavano verso la fine degli anni ’80 trasmettendo in TV era un police drama pseudogovernativo dai crismi di commediola d’accompagnamento in fascia serale, e non poteva essere il nuovo Macross visto quanto gli mancassero gli elementi di trasversalità di un esegeta visionario qual è Oshii, che dovettero bloccare appunto perché dirigesse per loro un film all’uso del suo idioletto, normalmente riconoscibile a distanza di centodue chilometri con tutti gli indizi di profondità di campo e i focus dei contromovimenti eseguiti al rallentatore, in deroga alle inquadrature di fermo soggettivo che vengono utilizzate al risparmio del numero dei frame. Patlabor, il film, fomenta il libero arbitrio. E diventa imperativo sottoporre agli accademici quest’attitudine al “mimetismo su licenza” che abbiamo rilevato adesso che si ha difronte l’intera opera del regista, un continuo innesto di sottotrame destituenti, ancorché riguardose di un modello televisivo-comportamentale in seno ai personaggi chiave, sempre tali a stretto livello sembiante ma iperbolici entro il quarto di girato affianco allo spettro di Beautiful Dreamer, capace a tutt’oggi di esercitare le costanti di questo cinema decostruito sul periodico disinganno della trasformazione, tra robot giganti e rivoluzioni ideologiche condotte a stregua di eserciti volanti, stormi di uccelli dagli occhi rossi.

Si leva dagli ultimi vestiboli della civiltà una Babele di piattaforme trasportabili sulle quali ancorare i prescelti usurpatori dal reattore in titanio, loro sì chiamati a riscrivere la storia sotto il segno della liberazione denominata “HOS”; nello scettico rapportarsi alla “società industriale e il suo futuro” assai prima che Theodore Kaczynski, detto Unabomber, rendesse il “Manifesto” sulle pagine del Washington Post, Mamoru Oshii declinava dell’anime più settoriale che poteva esserci l’acuto di ribellione arruolabile contro il totalitarismo scienfitico precedente il suicidio dell’uomo in quanto stirpe: prove tecniche di Ghost in the Shell cui partecipa lo stesso Kazunori Itô, che senza di Oshii non osava muovere un passo anche se lo scrittore, invero, dovette ereditare dalla serie TV talune gerarchie relazionali nonché soddisfare certi macchiettismi a modus di risarcimento da intestare all’otaku in forma anonima, fattore che non gli avrebbe impedito di portarsi avanti un discorso di radicale infiltrazione dei tessuti più sistemici del progresso tecnologico, per crearli instabili, indurli a cedere con discrezione dietro il corsivo di chi al tempo aveva servito per Urusei Yatsura, Magical Angel Creamy Mami e Maison Ikkoku, che lo si identifica per certo il sinuoso tratteggio di Akemi Takada nel momento in cui scolpisce il key frame sullo storyboard, delizia di un direttore dell’animazione che dev’essersi trastullato non poco nei dintorni del corpo a corpo tra carcasse di robottoni in cima alla torre, fulminea scarrellata di cinepresa con espulsione d’emergenza e fucile ravvicinato direttamente alla testa, meglio di un vecchio western, poiché bisognava scendere da questi robomostri e tornare a calpestare la vecchia terra, l’unico punto fermo su cui poter edificare il proprio destino.












  Classificazione Film d’animazione
  Titolo originale Kidō keisatsu Patlabor The Movie - 機動警察パトレイバー劇場版 -
  Provenienza Giappone
  Prima immissione 1989 / Cinema
  Produttore Production I. G / Studio Deen
  Regia Mamoru Oshii
  Fotografia Mitsunobu Yoshida
  Soggetto Kazunori Itô
  Character design Akemi Takada
  Mechanical design Yutaka Izubuchi
  Dir. animazione Kazuya Kise
  Compositore Kenji Kawai
  Sito produttore www.production-ig.co.jp
  Formato Blu-ray Disc
  Edizione Nord America [Maiden Japan]
  Anno edizione 2015
  Numero supporti 1
  Lingue JP / EN
  Sottotitoli EN
  Rapporto 1.78:1
  Compatibilità Region A
  Durata 99 min
  Episodi //
  Reperibilità Buona
  Prezzo 10 € circa
  OST Sì [Patlabor The Movie Original Soundtrack Album “Inquest”, 1989, Warner-Pioneer]

 

L’edizione DVD italiana risalente al 2006, prodotta da Shin Vision per le edicole, risultò essere alla fine un riversamento “anamorfico” della versione VHS realizzata a metà anni ’90 da Yamato Video. In virtù di questo, il comparto audio/video risulta compromesso da artefatti e rumore di fondo. Quindi per la review si è preso a riferimento il restauro in HD distribuito da Maiden Japan per il Nord America, che presenta un colore neutro e di corretto contrasto, oltre all'audio in dts.