Lo
scenario di pace conseguito dai gradi della civilizzazione è un fenomeno
transitorio. Di riparo dietro lo schema della diplomazia, esso prospera
nell’accettazione di comportamenti sociali acquisiti, e ciò stante non tiene
conto della vulnerabilità intrinseca dei sunnominati all’insorgenza di fattori
esterni non previsti, un jet di fabbricamento americano che manovri al di fuori
dalla propria rotta, un’autobomba che fra due minuti esplode, un dirigibile di
sostanze gassose lanciato senza pilota tra i grattacieli della City. Si
affermerebbe il panico. E le istituzioni investite a salvaguardia dell’ordine
prestabilito cadrebbero una dopo l’altra, denudando la natura fallace di questo
stato di non aggressione cui subdolamente ci aggrappiamo per negare l’evidenza
di un fatto: la quiete ricevuta a seguito di un’azione di guerra, foss’anche
quest’ultima estinta verso il nemico invisibile del dissenso, è illegittima
quanto la guerra stessa. E adesso possiamo dire qualcosa del sequel di Patlabor.
Nel 1992 Mamoru Oshii diffida in generale del
cinema animato di ambientazione robotica, in barba a un accordo di massima su Patlabor
2 già firmato e riposto in cassaforte di sopra ai
documenti con cui il regista veniva insignito milite del Fronte rivoluzionario per la liberazione del
Giappone,
che intanto il disgregamento del motivo portante dell’anime sarebbe
in ugual modo accaduto pure se gli avessero commissionato una serie TV sulle api
magà o gruppi di idol transgender; il prodotto in sé doveva eristicamente
interrogare i vertici della macchina esecutiva del Governo – Hideaki Anno
ringrazia: in
Shin Godzilla
si affronteranno questioni a dir poco rassomiglianti – a rimarcarne
l’impotenza dall’avviso di minaccia fino al seguente e deliberato atto di
ostilità, che a dispetto del movente ideologico non si sarebbe astenuto dalla
critica, feroce, contro il moralismo della non belligeranza. Di fatto, dal film
scaturiscono prese di posizione destabilizzanti e narcisistiche confronto agli
organi che si professano gerarchi della patria modernità, e che diniegano di
essere stati tra i primi artefici della catastrofe della dismetria economica e
collettiva, accettando di progredire sul sangue dei popoli esautorati del
diritto di sommossa. In reazione, si dovrà infiltrare il centro
nevralgico del potere, e indurre il caos per mezzo di una elaborata operazione
di depistaggio, dimodoché sia il terrore del conflitto a generare il conflitto
stesso.
Sembra che lo staff tecnico resosi creatore di
Patlabor: The Movie
venga confermato in blocco. La quantità dei fotogrammi è clamorosamente elevata. Si deve notare, in proposito di character
design, la emancipazione circostante i segni particolari dell’autore
(autrice: si parla sempre di Akemi Takada), che vediamo attenersi finanche oltre
il dovuto alla rilegatura – ulteriormente impassibile – del narrato a squame di
marmo, un papiro, battiture sature di riferimenti politici e requisitorie in
campo lunghissimo per cui la sostanza molecolare riesca esecrata dall’ingerenza
del catrame, fermo immobile tra i ferri dei cantieri che configurano il
sedimento degli umani presidi; da accordi contrattuali s’indulge nei limiti
del possibile all’intromissione di animazioni un pochino leggere, a onor del
vero istantaneamente obliterate dal successivo disturbo post
traumatico da stress che l’anime sollecita in modo così perentorio,
sulla via dell’inchiesta a sfondo paramilitare da cui si stabilisca che si è
ancora lontani dall’avere ottenuto giustizia, nonostante si ripieghi su di una
conclusione dove
la sovranità dello Stato viene (presumibilmente) ristabilita e il colpevole
tratto in arresto. Patlabor 2 è un film acre, inintelligibile da platee che non
abbiano precauzionalmente distillati da
Tenshi no Tamago
i fermenti della conoscenza, posto che il revisionismo ideista che Oshii promette
di elargire attraverso le parole di Tsuge Yukihito, lo stratega folle, è una
risma di cifrature i cui tasselli si ritrovano distribuiti in misura
proporzionale all’interno di ciascuna sua opera. Per risalire a un proclama
sommario che sia empiricamente dimostrabile occorrerà unire i pezzi e dare un
volto alle risultanti figure.