Ce
ne stavamo lì di fianco a Hideaki con il radar alla Trattoria di Pesce Pappare
Italia di Shibuya quand’è venuto fuori che Shin Godzilla è un
avanzatissimo anime
in silicon graphics. Cosa di cui si portava sospetto da mesi, sebbene che sulle
prime non lo si era notato in virtù del fotorealismo dei modelli
tridimensionali, e non fosse stato per le
trentacinque smorfie seinen che il plenipotenziario delegato speciale
degli Stati
Uniti somministra in serie nel tempo di una energica posa, e con tanto di tacco
12, si poteva tranquillamente dar ragione a quelli che tuttora dicono
che Shin Godzilla è una cosa con gli attori viventi che recitano; il vero organismo vero del
film, da parole del regista, è il mostro. Che sarebbe il prodotto dell’incrocio tra
un odontoceto del Mar Baltico e un mammifero del Madagascar creduto
estinto da un milione di anni, e il cui rinvenimento è secretato dall’Ufficio di
Ricerca Sperimentale Paleoscientifica voluto dal Governo Abe IV all’inizio del
2013. In termini di script, l’intenzione è autoderisoria. Chessì,
l’immobilità replicante di quest’Ordine di burocrati facenti vece stagna
nella traduzione del sofisma, in un paradossale negoziato tra
alti fiduciari e istantanee task force esperte in godzilli.
Si ammucchiano in Shin Godzilla cartiferi.
Contradicenze. Stacchi di prolissità, essì che ci sta che riferiscano questi al
rendez vous degli organi di competenza, contro disponimenti del ministero di qualcosa o piuttosto in ottemperanza del proponente risoluzioni approvate dal
sottosegretariato per la difesa, posto mandato straordinario del consigliere
particolare del vice primo ministro di cui in deroga alla normativa d’urgenza
17.b per la messa in rettifica di non confermati attacchi
di creature non classificate nella zona della baia di Tokyo, così che «intanto
che si proferisce, la nazione ha il permesso di bruciare». Si raschia l’establishment
in un satirico di acumine inconsueto, ficcante sul perpetuo del
marchingegno mobile di “The West Wing”, se anche a quei due che decenni prima si
erano scambiati la regia di
Fushigi no umi no Nadia era
stato commissionato altro, un che di film di genere popcorn & catastrofi e stai
sicuro che alla Toho pensano ancora che lo è, di sovra ai resti dei palazzi come se nel kaiju movie del
’54 che
diresse Ishirō Honda, del cui effetto speciale di cartapesta si fa impiego
in segno d’ammirazione, per uno che sapeva terrorizzare, che ci si deve
ricordare di Matango (マタンゴ)
e dei suoi mortali prensili dipresso il ’63, dentro all’isola maledetta.
L’anime Shin Godzilla è del nerbo
retrocinematografico, non che di una disaderente cineclassificatura in quanto
d’intonaci e delle luci, che hanno spianate al dorso di videocineprese IMAX ad
altissima compensazione e appena lì nel posto in cui le spoglie di
Evangelion vengono
donate alla scienza, o per di presto a primitivi slanci di necrofilia e
cannibalismo, tant’è che se ne hanno tracce fra i risuoni della colonna sonora e
or ora in appoggio d’inquadratura dei carri armati allineati in formazione di
cannoni che
puntano la testa del nemico, se pur questi non conseguisse la ellissi di un angelo
e se mai di una stregua di superdemone radioattivo, ché non si poteva non
ritornare all’assiomatico atomico il beneficio del male minore, e della
superpotenza occidentale che fornita di tanto di cappello da cowboy negasse al
Giappone la dignità del potere di veto; l’ombra di un sostenibile e masochistico
terzo bombardamento a scissione del plutonio perfeziona l’atto di accusa alle
classi – legiferanti ed esecutorie – insieme allo scherno di tutta un’eletta casta di fantocci di marzapane e prototipi
di yes-man affiliati verso il disonore del disarmo, quasi che ci si fosse
contesi un’incondizionata resa preventiva e non si dovesse che condiscendere all’impotenza
del suicidio diplomatico di massa. Distante dalla correttezza istituzionale
e provocatoriamente imperialista, Shin Godzilla muove guerra al pacifismo e
fa del mostro il capro espiatorio della débâcle di una nazione.