Trovandosi
a uscire negli anni in cui Gainax orbitava ai suoi massimi era pure
comprensibile che Otaku no Video si designasse a docu-anime
di tendenze meno leggere rispetto a quanto pareva che poteva essere, così
a scrutarne il design convenzionale e per il suo appoggiare la otakizzazione del
mondo anche, accollandosi il rischio di buttarla sulla farsa; ma i due OAV sanno
invero sviarsi la facile ridicolizzazione dello status sociale del nerd, in capo
a situazioni di convention doujinshi underground e deviazioni che nel
peggiore dei casi evocano una loro rispettabilissima filosofia pagana,
riflettendo questa resistenza all’indice razziale che rifinisce più in là della
stretta nippofilia, in uno schema più assoluto, verso colui che per ragioni
ideologiche sceglie di essere diverso; la direzione di Takeshi Mori, in
tal merito acuta, dà provocatoriamente spazio al giovine aitante e di
bell’aspetto, per seguirne l’involuzione/evoluzione dall’incontro con l’amico
del liceo che si compra le action figure alla definitiva conversione, che
sarà totale, di netta rottura col rampante passato recente. Il regista poteva
essere in Gainax da sette minuti ma il fatto non è di ostacolo alla
proliferazione di cenni
autobiografici. C’è uno che si chiama Tsurumaki, portando esempi. Cose di
televisione verità e fiction s’interscambiano a testimonianze finto-amatoriali di otaku pentiti, e
inoltre
c’è la componente dell’animazione, sempre di livello medio-alto contando l’assenza dei pezzi
grossi. Ma dicono che sezioni di sceneggiatura vennero scritte da Hiroyuki
Yamaga.
Si poteva restare ai cubicoli dove le persone
giapponesi parlano di fucili semiautomatici ad aria compressa nel durante che si
consultano le videocassette con le maghette, il consumatore avrebbe anzi reso
grazie, allora dunque il regista inquadra, per forza di negazione, una saga di antieroi conquistatori che da ghettizzati
quali sono si promuovano a capitani miliardari dell’industria del modellismo, se
non per ritrovarsi estromessi in men che non si dica, e tornare a mettersi in
coda per l’ultima sailor in vinile a stampa limitata. Si mastica amaro.
Malgrado la piega romanzesca che gli OAV arringano nell’escalation a dir poco ilare
che vedrà i nostri erigere il parco divertimenti “Otakuland”, e parimenti
concepire la sexy-streghetta dei sogni, questi rimarranno, al giudizio del
giapponese medio, parassiti di cui la collettività dovrà disfarsi; il bellissimo
finale è per cui metafora del desiderio di riunirsi a un luogo onirico di
oltrevita, e di giovinezza eterna, al caso riportandosi al Nautilus di
Fushigi no umi no Nadia,
in una Tokyo sommersa e post-radioattiva del 2035 da ossequiare in tenuta
spaziale bianca e rossa, ché si parte alla conquista della Stella degli Otaku,
l’astro più luminoso della costellazione di Andromeda.
Opportunisticamente, le riprese dal vero
restringono il costo cumulativo del girato, ma di lato risvegliano l’attitudine
multifunzionale – e sperimentalista – della videoripresa, quasi che a ristoro di un
collage che finirebbe dritto nel Dizionario teorico e critico del cinema di
Jacques Aumont se giusto appena costui sapesse di anime differenti da Akira,
e avrebbe dovuto saperne. Il docu-anime medesimo racconta l’interesse
straniero nell’inciso delle sottoculture coincidenti a levante, riflettendo su di
un fenomeno già da tempo delocalizzato, importabile da caucasici estimanti i
Pizzicato Five che vorrebbero sentire come suona il suono della Mecca, lo Stato insulare del
Padiglione d’oro di Kyoto. La patria di Magica Emi. Tuttavia, la schematica
divulgazione di Otaku no Video è estremamente colta; tratta il feticcio secondo
le modalità che ci si aspetterebbe da un reportage trasmesso a pagamento da
Discovery Channel, analiticamente, nella profilazione verisimigliante dei tempi
metalinguistici e i modelli estetici del mōs maiōrum pre-imperiale. Recasi un
chara design di basso ottantismo disegnato su grammatura liscia uniforme, al
fotogramma sul trasformamento ammiccante, adesso scolaretta e in seguito
coniglietta coi superpoteri e un mecha design che va ancora più indietro,
incontro alla Fortezza Superdimensionale cui il Mega Robot di Otakuland si
ispira, e sulla quale il soundtrack intende modellarsi traverso strofe di super
enfasi e Lynn Minmay.