Su quanto accadde a
Hiroyuki Yamaga più
tardi alla distribuzione di Honnêamise no Tsubasa si appaia l’ostracismo serbato
a Michael Cimino per l’avere scritto e diretto “I cancelli del cielo”; Gainax,
contrariamente a United Artists, sopravvisse. Fu tuttavia stabilito che le trame
cinematografiche di Yamaga era forse meglio se si concludevano lì: il padre di
Daicon III e IV avrebbe in Gainax continuato a produrre sceneggiature, e
occasionalmente a dirigere per la televisione ma i prospetti corpulenti, gli OAV
a tecnica digitale e i venturi lungometraggi finanziati da Toei Animation se
li sarebbe anzitempo rastrellati il micro entourange di Hideaki Anno. Perché
così
doveva essere. Ci voleva quel qualcosa che decretasse che il film era la
irriscrivibilità dei suoi emisferi, un regista che si inventasse storie di
guerre suprematiste tra il Regno di Honneamano e Repubblica, e di aeroplani con le
eliche posteriori che espurgassero scie di condensazione a criterio di ellissi
sorvolanti la luce del sole, e rasenti il lancio del razzo che riunificherà i
popoli.
Ci è venuta l’emorragia all’occhio, che non
abbiamo retto all’effetto speciale realizzato a matita da quello che si è
nominato sopra, quello di
Evangelion; è bene per cui decontaminarsi al più breve del retroscientifico,
e della eguale manipolatura del soffiato del calice nientemeno, il micro-dettaglio
del metallo contante per mo’ di non perdersi le allocuzioni politiche
controverse, e le mirate allusioni ai rapporti
di forza, deboardanti nel mezzo della striscia demilitarizzata di Nord-est in un
chiaro accenno a crisi balistiche degli anni ’60, non che a stalli
mediorientali in auge a tutt’oggi; la ordinarietà di Shirotsugh Lhadatt,
protagonista collaterale, passivo, moralmente subdolo ancora che il mancato
abuso di cui si macchia è subitamente pentito si misura con la straordinarietà delle sue
scelte, di ardite azioni “alte” rispecchianti le medesime di una umanità
che vorrebbe mondarsi di forme spirituali celesti, e idealmente trovare
rifugio nell’aura orbitante della capsula spaziale, faro che purifica i peccati del
mondo. Lo scritto, talsì amanuense e compiuto da potersi scollare dal disegno e
contingersi a nobiliari prose di eliocentrismo copernicano rifonde le strutture
della fisica, le ripiega e le irroga di scienze verificabili negli stadi della
espulsione delle zavorre di sotto al missile, come se nel ’69 sulla Apollo 11,
ma lungi dal sermone del “grande passo”, ché
Lhadatt saprà dire di meglio.
Partisce le righe del suono a poco a poco, Honnêamise no Tsubasa,
entro a una
scopertura del synth cui
Ryūichi Sakamoto impresta il pezzo migliore
della sua anima, che il resto se lo era speso ne L’ultimo imperatore di
Bertolucci, e stilla lo spartito di note ambientali, e ricompensa da capo
il crescendo idillico e atmosferico dello sceneggiato realistico dei
cinegiornali, dal martirio degli eroi derubricati dai libri della storia al trionfo
di chi si libra al confine ultimo della gravità. V’è da dirne sui pastelli che
nemmeno le workstation dello studio Khara, e le pitture a mano tracciano
prevalenze sui gradi speculari, luminosità imperanti e scuri completi da cui il
colorismo delle influenze veneziane di un Tintoretto, purché nell’inquadro dipinto
delle antiche scritture, solenne che sequenzia il ricordo infantile al Ricordo
Collettivo, sulla strada del concepimento dell’uomo, con la cinepresa che
transige implacabile alla quiete siderale. Honnêamise no Tsubasa – Le
ali di Honneamise: adattato in italiano da PolyGram Video nel 1995 e in loco
distribuito su nastri VHS – dà slancio alla nuova corrente dell’animazione giapponese
sin davanti al clamoroso flop consumatosi in sala, assumendo che al sovraggiunto
standard tecnico si dovette allineare l’indivisa industria, contando i
fabbricanti specializzati in home video e i produttori di giocattolame in resina. Il Blu-ray Anime Limited preso in consegna è un telecine
disposto nel 2015 da pellicola in 35 millimetri. Vi si riscontra una
rimarchevole pulizia visuale, malgrado la persistenza di alcune sgranature
dovute allo stato di conservazione del master. La pista audio giapponese
riprodotta in TrueHD 5.1 merita l’impiego di un Home Theatre di fascia alta.