Volendo dire sul secondo lungometraggio sui
mondi evangelici che potevano essere vale giù di lì quel che
si disse nel giorno che ti guardasti
Evangelion: 1.11 You Are (Not)
Alone, dove che ti chiedesti contro quale saracinesca Hideaki Anno
poteva andare a schiantarsi, se non che in quel preciso intervallo di tempo può
darsi che
non lo sapeva lui per primo; manco mai a svoltare la tetralogia in chiave
strettamente esegetica, Evangelion: 2.22 You Can (Not) Advance dà se non altro
spazio al pensiero divinatorio, nell’indulgere
a neo-caratterismi di medio fanservice e alta incidenza biorobotica da
che reca, a questi detti, preliminari funzioni di agganciamento a binari di (non)
vite, lì mentre che si decantasse come in una bolla di quasi incipienza il
futuro vittorioso dei raglianti asini parlanti, nella epoca di quando si era soli e
condiscendenti. Da cui la necessità di almeno altri due film. Fuor di dubbio, il
mosaico attoriale distribuisce indizi sulla mutazione che la saga avrebbe
conseguito per conto di forzatura registica unitaria, dal momento che sembrava
che era il momento di seppellire tutte le fissazioni e le paranoie del presente corrente immediato. E
di valutare se era il caso di
mettere fine all’adolescenza.
Non biasimabile questo tentativo qua di alzare le
barricate rispetto a una visibile diversione di elementi settari
e certificati autismi, atti di sfrenatissimo terrapiattismo in capo a speculazioni parallele, dove che
affianco a schiere d’infanticidi potenziali e dentro a canali discord dedicati a
Neon Genesis Evangelion
ci si poteva riscoprire apostoli di tutta un’aberrante contronarrazione
secondo cui alla fine della storia ti veniva rivelata la teoria del tutto.
Nonché l’esatta ubicazione della Lancia di Longino. You Can (Not) Advance chiede
di andarsene per conto suo. In traiettoria di pubblici meglio eterogenei e di assai meno
predisposti a derivare nerdisticamente alla bassa letteratura
dell’internet 3.0; il film s’incarica per questo talune manovre di revisionismo
venute a mancare in You Are (Not) Alone, con una qual vigoria per certuni versi
e trova, il film, una sua estrosità elettiva nel dirompere il circuito di marca
seriale, presso che a erigerne uno fresco di matrice, sostituente, non ancora
catastrofico nella misura di un futuro nichilista e inaggiustabile ma che
applicasse anzitutto tabula rasa circa gli algoritmi attitudinali a uso e
privilegio dell’otaku seriale. Operazione che si deve dire complessa, non che
riuscita a metà; ché si rimane sul tecnico, si tende ancora a prediligere
l’immagine; in qualche modo si prova a fare cose da adulti, seppure si ricade
una su due nella “harem soap opera” a base di scuole medie superiori
e poco altro.
Sì ma il reboot tutto quanto in digitale
poteva ambire a un grading di molto più impattante sul livello degli incarnati,
che restituiscono all’iride tonature generalmente fredde; si
dispiega lo scoloramento dei pigmenti sovra dell’ordinaria transizione
all’animazione anni 2000 renderizzata dai supercalcolatori, allorché il calore del colore stampato su pellicole 35 millimetri del
Feature Film dimora
tuttora in una dimensione metafisica, e ci si deve arrestare
sull’argomento poiché determinante quando che scannerizzi il supporto Blu-ray che ci hai
difronte per vedere se tiene il supplemento dell’animato analogico superiore e non lo trovi, e
ti trovi per cui a dovere discorrere di un film evidentemente difettoso di anima,
pure ancora se animato, ancora anche se non esente di nuovezza in forza di linee
longitudinali aggiunte allo script da uno Tsurumaki (FLCL)
che invero sembra che non sa veramente verso quale direzione andarsene, ché nel
frattempo Hideaki all’esterno della porta dell’ufficio in cui si era andato a
chiudere per scrivere la sceneggiatura di Evangelion tre punto qualcosa aveva fatto affiggere il
cartello “Jama Shinaide Kudasai”. Banalmente, Evangelion: 2.22 incontra il suo
standard cinematico – eppure non cinematografico – nel durante la estemporanea
corporeità delle sequenze dinamiche e di collisione con gli Angeli, traverso le
quali i registi vorrebbero estinguere il debito narrativo maturato. Senza però
liberarci dalla noia.