Ci
si è dovuti interrogare sul vissuto cinematografico degli ultimi trent’anni,
includendovi a ragione di trascendibilità un profluvio di corti per i quali
intorno al ’94 ci impegnammo a fornire titolatura semi-professionale, e non potevamo
al certo
escludere da sì fatte cerimonie i lungometraggi di
Neon Genesis Evangelion, quelli che
Hideaki Anno dovette inventarsi per non finire divorato da uno stormo di
cosplayer vestiti da
Unit-13, in conformità a una celebre sequenza di Air/Magokoro wo, kimi
ni (The End of Evangelion), ripensamento degli episodi venticinque e ventisei,
terminale divinazione del XX secolo; nei “ventiquattro capitoli in uno” che
realizzano il precedente Death (True)² si usa all’inverso venir meno agli
esperimenti sulle biotecnologie supermolecolari avanzate per meglio favorire il traslocamento da full frame
a rapporti d’immagine di 1,78:1, che si doveva dare precedenza alle implicazioni
filmiche del contesto, in parallelo a questa decronologica ripartizione di
eventi di cui corrompere il consecutivo, a offrire della serie TV il metro
angolare del
soggettivismo.
The End of Evangelion è l’arbitrio del suo
artefice. Il film tenta di sciogliere l’enigma che questi si era in
testa scolpito come surrogato dell’universo circoscritto, quando ancora si
provava a convenire con le fissità che la saga/piaga gli aveva indotte in
termini di autoconsapevolezza, e assai prima che il suo personale Third
Impact di fusione strettamente metafisica tra replicanti e angeli si
manifestasse, e desse principio all’«adunanza»; si vedrà l’Eva-01 tramutare
nell’Arca del Nuovo Capitolo della Genesi, nonché Shinji Ikari elevarsi a
condottiero degli eserciti di extramateria che un tempo solevano chiamarsi
umani, e poiché connaturata alla razza umana è l’impossibilità di poter
risolvere per sé stessa né a nome d’intelligenze altre, che sia “morte, morte a
tutti”, pure a chi per primo la dispensa, ché in mancanza di tutti gli altri,
persino della sofferenza che i su nominati irrogassero scambievolmente non vi
sarebbe motivo di continuare a esistere: Magokoro wo, kimi ni (A te il mio animo
sincero) si guarda dal formulare risposte definitive. Reca per cui allo scriba
di conciliarne una che converga nel pensiero omnicomprensivo, ferma restante la
insanabile interiorizzazione di fondo: l’epilogo se ne stia insoluto, Noi si
insiste, e che perduri attinente al
registico paradosso di non voler sapere, del non voler essere.
Stipulando accordi con Production I.G – Patlabor
The Movie uno e due, Ghost in the Shell – si erano in Gainax assicurati che il
combattimento tra l’Eva-02 e i
Mass Production Evangelion argomentasse di mitologia ellenica, e che
l’intero film conclusivo, più in generale, agisse a modo d’animazione spuria di alcuna
discontinuità, nel merito dei primissimi piani che scalano a grandezza di campo al quartier generale della Nerv, muovendo nel sibilìo dei proiettili ad alto
grado di perforanza; la “fine” di Evangelion è un fatto di austerità e
munificenza. Sul raggio della Lancia di Longinus annuncia la sua venuta,
e trasforma in visioni celestiali ex tempore i simboli del cristianesimo
descritti dettagliatamente nel Libro della Rivelazione, capitolo tredici,
versetto diciotto. L’immaginamento astratto degli ultimi passaggi televisivi
viene al che spazzato via dalla Collera Evangelica, per determinare un
Harmageddon che reggesse il confronto con
Akira su svariati
livelli, compresi i versanti dell’ascesa spirituale e la trasmigrazione allo
stato di “brodaglia cosmica”. Neon Genesis Evangelion: The Feature Film è il
punto di ripresa della seconda unità di regia di stanza presso il
Geofront di Neo-Tokyo 3. Un’inquadratura parallela che educe a vista quel che la
serie aveva giusto implicitamente reso, nel momento in cui sapevi che qualcosa
di grosso accadeva, da un’altra parte, e si voleva esser lì a osservarne la non
verità con i propri occhi; scrutare l’assoluto senza doverselo immaginare, realizzando di
essere null’altro
che
marionette tra le mani di un gigante.